28 ottobre 2011

Sesta edizione del Festival Internazionale del Film di Roma. Secondo giorno: Le perle migliori di oggi sono tutte di Alice nella città.

Un film pessimo, omofobo, scritto e  pensato per un pubblico di quattordicenni, A Few Best Men (Australia, 2011) di Stephan Elliott è una delusione dopo i primi due minuti di proiezione. Lui inglese, lei australiana, si incontrano in vacanza e decidono di sposarsi. Lui orfano, la famiglia di lei è la sua grande occasione per tornare ad averne una. La suocera è   una botulinata fino all'inverosimile Olivia Newton John (un viso gonfio il doppio rispetto il cameo nella prima stagione di Glee), la cognata una cicciona lesbica (ma è solo per fare un dispetto a papà) così quando uno degli amici dello sposo se la scopa può vantarsi del trofeo con gli amici (ho scopato la lesbica) ma le battute maschiliste vanno di pari passo con quelle omofobiche. Gli amici sfigati dello sposo commentano le sue nozze con un proprio tu, e pensare che quando ti abbiamo conosciuto ti credevamo gay.Perché? chiede l'amico Sei sensibile, poco attaccabrighe la risposa profonda.
Come discorso di nozze, l'amico che poi scoperà con la lesbica, imbarazzato dal disegno di due tette che trova nel foglio portogli al posto del discorso da fare, inanella luoghi comuni antiaustraliani e poi si congratula che il suo amico non sia gay anche se avverte la novella sposa che se il marito vorrà fare troppo sesso anale è un indizio che forse gay lo è. Il padre della sposa commentando le nozze della figlia maggiore spiega che credeva fosse l'altra a sposarsi, ma poi si è scoperto che è lesbica, e, si sa, le lesbiche non si sposa non (o non le fanno sposare?)
Un film del genere non solo non è degno di esistere ma sicuramente non dovrebbe trovare spazio in un festival, almeno che non sia dedicato ad Alvaro Vitali il quale confrontato a questo film diventa Lubitsch.
Il regista è lo stesso di Priscilla e la cosa non deve sorprendere. I due film sono accomunati dalla stessa visione omofobica, misogina, maschilista, patriarcale della sessualità maschile. Un film da dimenticare, anzi che si dimentica appena usciti dalla sala, mentre non bisognerebbe dimenticare chi lo ha scelto per questo festival presentandolo nella selezione ufficiale, tra i film fuori concorso, facendoci perdere solo del tempo. Ma se il Paese va a rotoli è anche per qualche mente bacata che crede che questo spreco di pellicola possa essere chiamato film e ammannito agli spettatori. Il pubblico in sala ride, una buona metà, l'altra, per fortuna, no.
E visto che   Stephan Elliott si lamenta che tutti continuano a chiedergli di filmare matrimoni gli consigliamo vivamente di tornare a fare quel mestiere che sicuramente gli riesce meglio di quello di regista. Sceneggia Dean Craig, qui al suo più infimo risultato. Beh, <i>so far</i>.

Di tutt'altro livello Little Glory (Belgio, 2011) di Vinncet Lannoo che racconta delle vicissitudini di un diciassettenne alle prese con l'affido della sorella di nove anni dopo la morte di entrambi i genitori, mentre una zia vorrebbe assumere la custodia della ragazzina. Tra disoccupazione, combattimenti coi cani, piccoli furti, litigi e incomprensioni, il giovane  riconosce la propria immaturità dicendo della  sorella che diverrà adulta molto prima di lui   (e ha ragione: offesa perché l'amico che le faceva da babysitter l'ha schiaffeggiata, la novenne  spiega al fratello papà poteva menarmi, forse tu, ma non tutti). Un film vero che fa riflettere, una delle sorprese di cui solitamente ci fa regalo la sezione Alice nella città in concorso. Dirige un regista belga, trapiantato per questo film negli Stati Uniti (anche se il film è girato in Canada...).





En el nombre de la hija (Ecuador, 2011) di Tania Hermida P. è un film sorprendete e complesso che racconta una storia di bambini educati in maniera diversa, chi secondo la versione più superstiziosa del cattolicesimo, chi secondo i dettami della laicità di sinistra (siamo nel 1976) dove la sorprendente protagonista di nove anni ha già sufficienti strumenti critici per difendersi, imporsi e analizzare il mondo. Perderà la convinzione assoluta che non ci siano margini per altri punti di vista quando una storia personale (l'incontro con uno zio matto tenuto nascosto in quella che era la sua biblioteca quando era solo ancora uno studente di medicina) e alcune bugie (innocenti) dettele dai suoi genitori le insegnano a vivere, davvero da laica, senza convinzioni assolute. Un film che si rivolge ai giovanissimi ponendoli dinanzi ai conformismi e alle piccole cattiverie degli adulti suggerendo loro di coltivare la propria personalità soprassedendo sulle contraddizioni altrui. Altro film della sezione Alice nella città, anch'esso i concorso, sarà difficile per i giurati stabilire il vincitore.


La  brindille (t.l. lo stelo) (Francia, 2011) di Emmanuelle Millet,  racconta di una giovane stagista che si scopre incinta di sei mesi anche se è priva di pancia (da qui il titolo) e dei suoi tentativi di fuggire una gravidanza che non può più risolvere con l'aborto. Un ricovero per ragazze partorienti, la decisone di dare il figlio in adozione, un concorso per studiare a Parigi, l'incontro fortuito con un ragazzo meno  bello di lei che sa che lei se ne andrà coscì come è arrivata. Così sarà. Ma lei gli promette di tornare. E prima di andare a Parigi saluta la figlia appena avuta, che si era rifiutata anche di vedere.
Niente di nuovo sul fronte occidentale ma questo film ha il grande pregio di raccontare una storia senza gli orpelli della commedia (à la Juno) e di mostrare l'autodeterminazione di una giovanissima donna (nemmeno ventenne) che suo malgrado  riesce a fare quello che più desidera, studiare e viaggiare. Sullo sfondo una società che non offre lavoro e poca solidarietà trannne quella di altre donne, come la direttrice del centro cui è stata indirizzata dall'assistente sociale, altra donna. Terzo film di Alice nella città anch'esso in concorso...
 
E mentre pubblico queste  note senza foto perché il sito del festival è offline per manutenzione (!?!)  mi mancano ancora due film prima di finire la giornata...

Ci leggiamo dopo?

Le perle migliori di oggi sono tutte di alice nella città.



Une vie meilleure  (Francia, 2011) di Cèdric Khan sorprende perché racconta di noi, del nostro mondo, del profitto, dei soldi, dell'assenza di solidarietà, e lo fa in maniera esemplare, in assenza, senza una stria madre, senza azioni eclatanti,lasciando ai personaggi di raccontare un mondo di abbrutimento nel quale siamo tutti talmente aiutati da non rendercene nemmeno conto. E chi giudica questo film secondo i criteri dell'intrattenimento non è meno criminale... Sfruttamento, delle banche e dei soliti profittatori che la società permette di esistere, bianchi che sfruttano immigrati, immigrati che applicano la legge con la bovina ottusità dei più biechi e bianchi conservatori.
Un film che ti tiene incollato allo schermo per due ore senza darti il tempo di cedere (come è successo con altre pellicole) e che ti porti dentro anche dopo che hai lasciato la sala. Ogni Paese è mondo e viviamo tutti in un mondo di merda.




Sesto e ultimo film della giornata un documentario su  Josh “Skreech” Sandoval uno skateboarder in passato famoso, sponsorizzato e pagato, oggi senza una lira e ritirato, che viaggia col figlio in fasce e la nuova fidanzata per la california, dove tutti lo riconoscono per quello che è stato e dove ancora vince qualche gara, tra una canna e molte bottiglie di birra. Il documentario deve al suo fascino alla "presa diretta". Josh è microfonato ovunque vada  lo sentiamo parlare come se noi fossimo amici suoi. Ma alla fine è privo di un vero scopo e non approfondisce nessuno degli argomenti che affronta, risultando affine a un filmino casalingo, anche se è notevolmente meglio montato e commentato da splendidi bruni del punk-metal contemporaneo come i Dream Evil (a un album dei quali fa riferimento il titolo del  film piuttosto che il film fantasy della Disney menzionato da uno dei curatori della sezione Extra nella quale il documentario è stato presentato in concorso). Ma seguire un ragazzo di 23 anni che ne dimostra 40 sia nell'aspetto fisico che nello spirito fa molto pensare e suscita un moto di simpatia per lui, suo figlio e la sua ragazza dalle labbra rosse.

Poi, torno a casa, mi addormento alle due e alle sei sono di nuovo in piedi...

Riecco il festival internazionale del film di Roma. Un inzio in minore.

Ricordo i primi anni del Festival, quando era ancora una Festa e non voleva competere con Venezia (come ha affermato l'attuale ministro per i beni culturali pro tempore Galan il quale, con questa motivazione non ha dato i finanziamenti statali alla manifestazione...). Io avevo ancora un accredito culturale, che mi permetteva di entrare alle anteprime stampa solo dopo che erano entrati tutti i giornalisti (concessione per la quale io ero grato mentre alcuni conoscenti, nemmeno giovani, si lamentavano di dover aspettare dopo che fossero entrati certi ragazzini solo perchè avevano l'accredito stampa e loro no, della serie l'invidia fa brutti scherzi...).
Ricordo l'umiliazione cattiva e gratuita infertami dal capo ufficio stampa (lei sa chi è, così come lo so io) la quale, quando ero andato a chiedere, al secondo anno di festival, se la concessione per i culturali era stata confermata anche per quell'anno, lei, notando un badge appeso al mio collo, mi disse con aria sprezzante che con quello non potevo entrare alle proiezioni stampa, dimostrando non solo di non sapere nemmeno le regole generali degli accrediti (ti danno un foglio con tutte le facilitazioni, solo che a me non lo avevano dato...) nonostante il ruolo di capo ufficio stampa, ma, anche, di essere una deficiente, perchè quella che avevo appeso al collo era la tessera dell'Atac (celestina, ben diversa dall'accredito stampa, che era giallo...).
Oggi invece, anche io ho l'accredito stampa e con quello entro praticamente ovunque.
La stazza poi mi permette di prendere ascensori altrimenti non accessibili (le scale che ci sono da salire per accedere alle tre sale, ammazza!)  così come di portare in sala la borsa quando qualche addetto disala troppo zelante vorrebbe che la lasciassi in guardaroba (ho le mie medicine e l'acqua, la devo portare con me...)

Quest'anno il primo giorno di programmazione è stato davvero avaro, tre proiezioni la mattina (tutte allo stesso orario, perchè non sfalsarle?) un buco immenso di 5 ore (dalle 12 e 30 alle 17 e 30), e poi i film del pomeriggio sera, pochini anche quelli.
Devo ancora capire i criteri con cui decidono gli orari di proiezione che non prevedono mai una proiezione dopo le 12 o prima delle 14 e 30...
Così uno tra un film e l'altro aspetti anche 3 ore... Ma porc vaff!!!

Intanto per fortuna col badge si può entrare a tutte le altre proiezioni direttamente (fino a due anni fa si dovevano prendere i biglietti per ogni sala, dal giorno prima ed entro le 12 del giorni di proiezione e se i biglietti finivano dovevi riscrivere tutti gli incastri di programma...) e così quando arrivo, senza fiatone grazie all'ascensore, serafico e sempre ben disposto per i ragazzi e le ragazze dello staff elegantemente vestitti e carine (e carini) mi sembra di entrare a casa mia, l'auditorium, in primis, una sala cinematografica, in secundis.

Il primo film che ho visto è statao Hysteria (Gran Bretagna, Lussemburgo, 2010) di Tanya Wexler che ha molto poco di inglese, infatti regista e sceneggiatori sono americani...

Film superficiale e approssimativo, che si ammanta proditoriamente delle Verità (ribadendo che i fatti sono ispirati a una storia vera, really) Histerya  affronta in maniera discutibile l'epoca vittoriana raccontando la vera storia di Joseph Mortimer Granville l'inventore del primo vibratore elettrico, mostrando, con gli occhi di oggi, i pregiudizi e discriminazioni di ieri, quando le donne avevano meno diritti degli uomini, non votavano, e se avevano carattere erano considerate isteriche.
l film è una banale debole e antica commedia che, in barba alla storia vera, presenta nei panni dell'inventore medico il bellissimo e affascinante Hugh Dancy al quale la moda del tardo ottocento dona particolarmente, ma che è lontano anni luce dal sembiante del vero dottor Mortimer...


















L'idea che l'isteria sia curata manipolando con le dita la vagina delle pazienti viene raccontata nel film dal punto di vista degli uomini manipolatori (il poverino arriva a soffrire di mano dello sdita... masturb... insomma avete capito no?) dove donne di ogni età si lasciano sfruculiare le parti più intime godendo come assatanate, presentando un vissuto del corpo e della sessualità che non è certo quello represso dell'età vittoriana (dove la masturbazione era considerata una aberrazione sessuale) e, soprattutto, raccontando la masturbazione femminile secondo l'immaginario maschile e non quello delle donne, facendo del piacere orgasmatico femminile un modo per mostrare come la donna per godere lì abbia bisogno di una mano e che l'idea sia venuta agli uomini....
Un film inutile che fa più danni che altro confermando certi assunti maschilisti sulla fica (che senza il cazzo o succedanei non funziona: perchè mai le donne, una volta scoperta la pratica masturbatoria, non avrebbero dovuto continuare da sole invece di tornare dalle mani esperte dei due medici? se non perchè, si sa, solo perchè solamente gli uomini sanno far funzionare quella cosa lì?) mostrando un classismo che nel 2011 è veramente irricevibile. Quando il dottore costruisce un prototipo di vibratore su quale donna lo prova? Su una prostituta che la figlia maggiore del dottore anziano ha accolto in casa paterna come cameriera. Chi è meglio esperta di chi ha fatto dell'usare la (propria) fica una professione?
Insomma la fica nel film non è parte integrante delle donne ma una cosa a sé solo casualmente posseduta dalle donne, che non la conoscono, mentre gli uomini sì.
Così un film che poteva parlare della riappropriazione da parte delle donne della propria sessualità diventa un film dove le donne per emanciparsi hanno bisogno di medici uomini che le masturbino.
Anche l'anticonformista (pure troppo per i tempi)  personaggio interpretato da Maggie Gyllenhaal alla fine vince perchè Moritmer la chiede in sposa (come dire il successo di una donna non è l'autonomia ma il diventare sposa...). Insomma un film a dire poco MASCHILISTA e che il film sia stato diretto da una donna (e scritto da un fratello e una sorella) la dice molto sul livello di pressapochismo del cinema americano (anche se per legge sono i produttori a fare la nazionalità) o almeno di certo cinema americano.
Un inizio blando e che si dimentica subito tranne per le belle facce di Hugh Dancy e di Maggie Gyllenhaal (sorella di Jake).
Del tutto sprecato è invece il talento di Rupert Everett (irriconoscibile) e di Jonathan Pryce. Durante i titoli di coda vengono mostrati alcuni modelli di vibratori dal 1880 al 1980... Per tacere del mini vibratore, rigorosamente rosa..., dato in regalo alle signore (dono della BIM che distribuirà il film in Italia) prima della proiezione...

Dalla proiezione di The Adventures of Tintin: The Secret of the Unicorn (Stati Uniti\Nuova Zelanda) di Spielberg, che ormai inquina il cinema con film inutili, sono fuggito via dopo nemmeno mezzora. Un film PESSIMO come solo il provincialismo americano sa fare: musiche francesizzate (anche se Tin Tin è belga) nome pronunciato con storpiatura dall'originale francese Ten Ten (con la e che suona come una o) a Tin Tin, (come Rin Tin Tin...). Un film inutile, in un inutile 3d, basato su riprese di attori in carne ed ossa dalle quali è stato ricavato un disegno animato realistico nei dettagli non umani ma con i corpi sproporzionati (teste e mani enormi) e poco, anzi per niente, somiglianti al disegno di Hergè (basta vedere le foto e confrontarle con il fumetto)


Vi sembrano questi due ciccioni Dupont e Dupond ?

Per tacere di Milou che nel film diventa Snowy...

Odio Spielberg ogni giorno di più e dello scempio che ha fatto di un fumetto meraviglioso che io conosco grazie alla Rai (aaaah Gulp fumetti in tv!) lo riterrò per sempre responsabile.

Uscito dalla sala, vomitando, sono andato a vedere il secondo film della serata il norvegese Få meg på, for faen! (Norvegia, 2010) di Jannicke Systad Jacobsen, che racconta del risveglio masturbatorio-sessuale di una giovane ragazza, proprio quanto quello maschile,  innamorata di un compagno di classe il quale per esprimerle il suo amore se lo tira fuori (letteralmente e con tanto di dettaglio) e glielo struscia sul vestito, per poi negare tutto... E alla fine per mettersi con lei mette uno striscione a scuola nel quale ammette di averle strusciato il cazzo addosso.
Divertente (anche se le risate esagerate durante la proiezione di un gruppo di nerd dietro di me insospettiscono...), a suo modo romantico, ma il film non affronta davvero nessun argomento vero, o serio.


Carino il cazzo (scappellato) del ragazzo, ma basta per farne un film?





Interessanti le locandine (che qui al festival non si usano tanto...)

Una che insiste sulla scoperta della masturbazione di Alma, la protagonista (sulle mutandine c'è scritto pikk-alma cioè cazz-alma visto che lei racconta alle sue migliori amiche cosa le ha fatto lui...).
La seconda, più interessante, vede il primo piano di lei e, sfocato, il primissimo piano (anzi, un particolare) del volto di lui.


Ecco le altre locandine.





Proditoria quella di Histerya visto che mette in risalto Maggie Gyllenhaalche non ha certo un ruolo principale
bello essere
quello che si è anche se si è
poco
pochissimo
niente


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