29 settembre 2009

I had a dream...

Non sono Fellini, ma stanotte ho fatto un sogno. Ci incontravamo (non so per quale occasione) con Napolitano (sì, proprio Lui) e sua moglie Franca (lo so che la moglie di Napolitano si chiama Clio, ma nel sogno si chiamava così). Non era un incontro formale, ma alquanto informale. Cosa si era deciso? I 10 punti della piattaforma contro l'omofobia (non esiste in realtà, ma nel sogno sì), che comprendeva una legge (l'emendamento Concia alla legge Marini o un'altra? Il sogno non lo diceva...), sensibilizzazione a scuola e ne posti di lavoro... Insomma, 10 punti, no?

Poi, mentre ci accomiatavamo, la signora Franca (no, non quella dei Broncovitz, ma la signora Napolitano, che nella realtà si chiama sempre Clio) faceva una battuta su noi ragazzi (beh rispetto lei sono ragazzo anche io...) che eravamo stati bravi impegnarci invece di farci le canne. Io le rispondevo (gridandole dietro, visto che si stava allontanando) che si trattava di un pregiudizio. Poi, come spesso accade nei sogni, ci ritroviamo io e e lei impegnati ad attraversare un pericoloso incrocio trafficatissimo (e col rosso!) assieme ad alcuni membri del WHAD e, una volta guadagnato il marciapiede, poof! Ci ritroviamo (come Rubicchio) in un parcheggio al coperto, mentre Franca cerca il marito e parliamo delle canne. lei dice che bruciano le cellule del cervello io dico che non è mai stato dimostrato. Morale della favola, pardon, del sogno, mentre le e il marito si ritrovano e oso felici, si amano ancora dopo ...millenni e io, nel sogno, quasi quasi mi commuovo, passa anche la legge sulle droghe leggere (nel mio sogno le leggi le fa la moglie di Napolitano...).
Poi mi sveglio, apro assonnato facebook e trovo una petizione sull'erba!!!
Coincidenza o messaggio divino?

28 settembre 2009

Io sto con Simonetta Salacone

Avevo già parlato di Lei, quando, l'anno scorso, durante la protesta contro la riforma Gelmini, avevo embeddado un suo video nel quale leggeva una lettera al ministro.
Adesso, grazie al sito Marginalia, sempre di più fonte preziosa di informazioni, scopro che Simonetta Salacone, preside della scuola Iqbal Masih, è stata vittima di un attacco politico e intimidatorio da parte della sezione giovanile del pdl.

Ho conosciuto Simonetta nel 2000 quando iniziammo a lavorare al progetto Irrsae (poi Irre) per il piano nazionale Cinema.

E' successo che quando Maria Stella Gelmini ha deciso di far osservare un minuto di silenzio in tutte le scuole per ricordare i sei militari italiani uccisi in Af­ghanistan, in alcune scuole quella circolare non è stata eseguita.

In alcuni casi sono stati i genitori degli stu­denti a protestare, telefonan­do agli uffici scolastici regio­nali oppure allo stesso mini­stero della Pubblica istruzio­ne. [Si tratta]  di «alcune de­cine di segnalazioni». Arrive­rebbero, sempre secondo il ministero, soprattutto dalle regioni del Nord, Lombardia, Veneto, Piemonte e Liguria (fonte Corriere della sera).
Anche la scuola di Simonetta, la Iqbal Masih, non ha recepito la circolare,
assieme alla Piero Maffi dove, raccontano i geni­tori di alcuni alunni, «questi inviti non vengono mai ri­spettati perché capita che non siano condivisi da tutti i docenti» e nella Guglielmo Marconi dove, spiegano, la «circolare del ministero non è mai arrivata» (fonte Corriere della sera).
A dire il vero anche nella scuola di Simonetta la circolare è arrivata mezz'ora prima delle 12, momento in cui andava rispettato il minuto di silenzio. Ma non era per questo motivo burocratico il rifiuto di recepire l'ordinanza: come Simonetta ha spiegato ai giornali

«In questo momento (...) sarebbe stata solo retorica. Se proprio va os­servato un minuto di silenzio deve essere dedicato a tutte le vittime che muoiono sul posto di lavoro e del resto an­che quei soldati stavano fa­cendo il loro lavoro». (...)  «Non è stata una scelta polemica ma pedagogica. In ogni caso una vera missione di pace va fatta con dottori e insegnanti non con i militari». (fonte Corriere della sera)
Apriti cielo!
Il Giornale attacca Simonetta con queste considerazioni:

Simonetta Salacone colpisce ancora. Ieri niente minuto di silenzio per ricordare i sei giovani soldati morti a Kabul (...). Da anni conduce le sue personali battaglie contro i governi di centrodestra che si sono succeduti negli anni ed in particolare contro i ministri dell’Istruzione. Prima Letizia Moratti ed ora naturalmente Mariastella Gelmini. Battaglie assolutamente legittime se svolte fuori dalle aule scolastiche. Molto più discutibili invece quando vengono coinvolti in prima persona gli alunni dell’istituto che ospita materne ed elementari. Si parla dunque di bambini molto piccoli. Più volte sono state proprio le famiglie, che avevano i figli iscritti alla Iqbal, a segnalare scelte didattiche davvero sconcertanti. All’inizio dello scorso anno scolastico le maestre si presentarono con il lutto al braccio e fuori dalla scuole vennero messe in vendita a 5 euro magliette già pronte con scritte contro la riforma Gelmini. Con i bambini dell’asilo invece di disegnare fiori e casette si preparavano begli striscioni con scritte contro il ministro.
Fiori e casette?!? Ma che idea ha della didattica , l'autrice dell'articolo, Francesca Angeli? E' rimasta al 1800, come i ministro Gelmini, che ignora le complessità del mondo che la scuola oggi affronta assieme ai suoi studenti e alunni.
Ma non è solo rimasta a idee vetuste e poco aggiornate sul reale funzionamento della scuola, è anche in malafede. Infatti se davvero i bambini molto piccoli delle elementari hanno partecipato attivamente alla realizzazione degli striscioni dietro ci sarà stato il supporto dei genitori, o no? Non si crederà davvero che i bambini siano stati costretti e che i genitori non abbiano protestato... La lotta ala scuola di Simonetta ha fatto notizia proprio perché caratterizzata dalla partecipazione di bambini papà e mamme... altro che costrizione!

Di cosa parla dunque la giornalista?

Parla, con la stessa passione fascista, eversiva e antidemocratica del presidente del gruppo Pdl al Senato Gasparri, di una visione militare della scuola dove il governo comanda e la scuola obbedisce, tant'è che Gasparri, appreso il democratico dissenso di molte scuole a osservare il minuto di silenzio,
(...)in un’interrogazione parlamentare al ministro della Pubblica istruzione Gelmini, chiede di sapere quali provvedimenti disciplinari, anche i più estremi, sono alla valutazione del ministero e delle altre autorità centrali e territoriali competenti. (fonte AGI

Perché come già esternato nelle scorse settimane dal ministro Gelmini, anche per Francesca Angeli le battaglie [sono] assolutamente legittime se svolte fuori dalle aule scolastiche. Molto più discutibili invece quando vengono coinvolti in prima persona gli alunni dell’istituto che ospita materne ed elementari.
E chi decide che cosa è politica e cosa no? Con quale criterio?

A quando i cartelli "in questa scuola non si fa politica"?

Non so se inorridire di più per la vocazione fascista di questa posizione o per la prevaricazione di chi, dicendo a qualcun altro tu non puoi fare politica, essendo quella decisione un atto politico, sta dicendo, in pratica io posso fare politica, e tu no.

Beh, si dirà, Gelmini è un ministro, se non può fare politica lei... Beh, in realtà se vale la distinzione anche Gelmini dovrebbe distinguere la politica dall'amministrazione della cosa pubblica. Ma le decisioni politiche di Gelmini riguardano la mia vita di cittadino, di studente, di figlio, di padre, e sono strettamente politiche. Perché devo subirle senza poterne discutere e senza protestare, diritti garantitimi dalla costituzione?

E' una vecchia idea, sbagliata e naif, che farebbe solo sorridere se non fosse antidemocratica e pericolosa, contro la quale mi sono scontrato anche io personalmente con qualche insegnante, nel mio lavoro di esperto esterno nei corsi di alfabetizzazione cinematografica che tengo nelle scuole (ricordate? E' così che ho conosciuto Simonetta, che, da preside di scuola, trova il tempo anche di occuparsidi didattica del cinema...).

Ogni nostro atto è politico, come ho avuto già modo di dire.

Un'idea pericolosa quella che si possa discutere senza politica; che la dice lunga sulla verità delle proprie idee e, anche, sullo schieramento partitico (che è altra cosa) in base al quale affermiamo tutto e il contrario di tutto.

Simonetta che non ha impedito si osservasse il minuto di silenzio (che infatti in alcune classi è stato osservato) ma non ha sostenuto come preside quella decisione ministeriale. Alle ciritche e alle minacce di sanzioni non si è lasciata intimorire e ha risposto per le rime a quella che è una strumentalizzazione politica:
poichè la scuola non e’ una caserma e i/le docenti non ricevono ordini, molte insegnanti, soprattutto dei piu’ grandi, hanno affrontato l’argomento in classe, con diverse modalita’ e ritualita’.
Ma la strumentalizzazione politica non è l'aspetto più pericoloso.
Un gruppo di giovani del pdl si è presentato a scuola di Simonetta, senza autorizzazione, per protestare, interferendo con il corretto funzionamento della scuola (nell'ora in cui i genitori portano i figli). Una presenza intimidatoria e squadrista che desta preoccupazione.

Anche per questo esprimo tutta la mia solidarietà a Simonetta Salacone, in difesa del diritto di opinione e libertà di pensiero.

Per esprimere il nostro dissenso firmiamo l'appello Contro l'imposizione del silenzio sul blog Marginalia.

27 settembre 2009

Il sessismo e Claudia Mori

L'omosessualità a scuola

Giovedì scorso si è svolta a Roma una fiaccolata contro ogni forma di intolleranza e contro tutti i razzismi. In realtà la fiaccolata, promossa da Nicola Zingaretti, Presidente della Provincia di Roma, doveva essere contro l'omofobia ma è stata annacquata e confusa e assimilata all'intolleranza e ai razzismi.

Ora è vero che in diversi post ho sottolineato la stessa matrice nell'omofobia e nella xenofobia, cosa che mi ha fatto prendere le poco garbate lezioni di politica di Antonio e di Perplessa, ma, nonostante sia ancora convinto di tale connubio, e con me anche il Presidente della Repubblica, ciò non giustifica la scomparsa della parola omofobia.
Il guaio è che l'omofobia va ben al di là del razzismo e dell'intolleranza.
I gay non sono una razza, e non sono esclusi dalla società solamente perché mal tollerati. Gay, lesbiche trans, bisex e intersessuali non solo Sono visti in maniera distorta, ignorante, piena di pregiudizi e di luoghi comuni ma sono talmente invisibili alla società al punto tale che in una manifestazione contro l'omofobia la parola scompare persino dal manifesto !
Un'altra volta, il nostro Presidente della Repubblica ben vede e insiste sull'omofobia e ne parla durante la cerimonia di apertura dell'anno scolastico,
Ma è importante ricordare, tutti noi, che un paese si fa rispettare se è rispettabile e se rispetta gli altri : se i suoi cittadini si comportano con senso del decoro, se non offendono chi è diverso da loro, le minoranze religiose, gli stranieri immigrati, gli omosessuali, chi ha una pelle di altro colore.
E' solo una piccola parte di un discorso ben più ampio e totalmente condivisibile che vi invito, come al solito, a leggere.

E' a scuola che possiamo imparare a difenderci dai luoghi comuni e non solo da quelli sui gay e le lesbiche e i trans... ma anche da quelli sulle donne e sugli uomini (sessismo), sui migranti, sulle altre religioni (Daniela Santanché contro i Burqua). E per fare ciò è importante che anche a scuola gay e lesbiche abbiano maggiore visibilità. E d è lo stato che deve garantire loro l'accesso a questa visibilità. Non basta fare coming out se poi sei visto in maniera distorta

Non a caso il quotidiano Il Tempo nel riportare il discorso di Napolitano censura il riferimento all'omosessualità. Se non è omofobia questa...

Bisogna vigilare e denunciare una forma mentis (di mussoliniano retaggio, in barba a quel che dice sua nipote Alessandra) ancora ben radicata nel paese che vuole un gay meno virile di un etero (sic!).

Prima ancora che di omofobia questo pensiero è indice di ignoranza, di stupidità, di non cultura.

C'è tanto, tantissimo da fare, a scuola e fuori, quindi

DIAMOCI DA FARE!

Camillo Babbano, l'impelatore di Roma

Un mese fa facevo sopprimere Cirillo. Era un giovedì, ricordo. Avevo ottenuto la cortesia da Francesca, la veterinaria, che venisse lei a casa, evitandomi di portare io Cirillo al suo ambulatorio.
Mentre aspettavo che arrivasse, sarebbe venuta durante la sua pausa pranzo, tra le 14 e le 15, girai un video con Cirillo, mentre io cantavo in playback Ero io, eri tu, era ieri di Mina, un brutto video che non ho mai postato (a dire il vero è stato online un paio d'ore, poi l'ho tolto le due foto che corredano il post sono estratte da quel video).
Quando Francesca è venuta e gli ha fatto la prima iniezione, l'intramuscolare, a Ciri gli occhi sono diventati enormi, come chi è sotto l'effetto di qualche droga, ma robba bona. Io ho continuato ad accarezzarlo per 10 minuti, durante i quali all'inizio ha cercato di divincolarsi e scappare, ma l'effetto del farmaco ha avuto presto il sopravvento. E' rimasto lì, sul divano, a prendersi le mie carezze, senza troppa convinzione. D'altronde erano almeno due settimane che rimaneva tutto il giorno immobile, disteso, ad attendere... La mattina veniva affettuosamente a darmi il buongiorno ma nell'ultima settimana non si faceva vedere, scompariva per ore, non mi stava più vicino, al millimetro, disteso per terra come un tappetino. Era malfermo sule gambe, le metastasi avevano raggiunto tutto il suo corpo... Non c'era parte del suo corpo senza una protuberanza cancerosa e nuove metastasi, di una consistenza diversa di quelle che giù conoscevo, stavano intaccando giunture e legamenti. Come se non bastasse una metastasi sotto il mento nel giro di un mese era cresciuta passando dalla dimensione di una puntura d'insetto a quelle di un nocciolo di ciliegia, causandogli problemi di deglutizione sempre più seri.

Insomma non potevo aspettare più. La decisione più difficile dell'eutanasia, perché di quello si tratta, almeno nel caso degli animali, è di non attendere troppo per non sopprimerli quando sono già agonizzanti. E' un riguardo che noi umani facciamo ai nostri animali. Nessuna decisione è giusta probabilmente è sempre troppo presto o troppo tardi. Avrei potuto sicuramente aspettare ancora 24 ore, d'altronde avrei potuto eliminarlo anche il giorno prima. Invece avevo deciso per quel giovedì.
Io continuavo ad accarezzare Cirillo che però non si addormentava. Non era un semplice sonnifero quello che le aveva somministrato Francesca, ma ho preferito non indagare. Intanto Francesca mi persuadeva ad allontanarmi per la seconda iniezione. Io ho sempre pensato che la seconda iniezione, quella fatale, fosse una semplice endovena, invece, mi spiegava Francesca, è una intracardica, e non è un bello spettacolo assistervi (vi risparmio i dettagli che con me sono stai fin troppo efficaci nel convincermi a non assistervi). Fatto sta che nella mia vita sembro destinato a non assistere mai alla morte dei miei cari. Non è stato così per mia madre, non è stato così per il mio primo gatto Buio non è stato così per Cirillo (cari lurker non vi offendete nel leggere che equiparo la morte di mia madre a quella dei  miei animali domestici. Solo chi non ha mai avuto animali si sorprende di quest'accostamento, gli altri fanno solo un sorriso di comprensione). Poi mentre Cirillo diventava sempre più inerme come un gatto di pezza, mi ha chiesto se, dopo il decesso, volevo vederlo o poteva imbustarlo direttamente (no, non mi stava chiedendo te lo incarto? lo stava imbustando così come vogliono le norme di accettazione del canile, dove lo avrei portato dopo per conto mio (aiutato da Piero io non ho macchina).
Ho declinato l'offerta, così, mentre lasciavo la camera da pranzo e mi dirigevo con Piero in camera da letto, dove ho anche chiuso la porta, Francesca portava a termine il suo compito.

Dopo, mentre io mettevo il corpicione imbustato di Ciri nella trasportina, (ammazza quanto pesa pure da morto quello!!!) Francesca compilava il certificato di morte che mi sarebbe servito al Canile dove lo avrebbero eliminato cremandolo, o, come dicono lì in gergo tecnico, effettuando la distruzione termica. (Brrr) Ho portato sempre io la trasportino il suo peso era l'unica traccia concreta rimastami di Cirillo. Quando lo portammo nella cella frigorifera (mica lo hanno cremato da solo, ma in una gabbia comune assieme a lucertole pterodattili ramarri cani topi balene koala e quanti altri animali morti bazzicano quel Canile) il responsabile della cela, un signore romanissimo, robusto, dalle sembianze di un portantino (avete presente Umberto D. ? di una volta (ora sono tutti giovani e magari anche laureati) mentre controllava che le carte che gli mostravo fossero tutte in regola (certificato di morte, ricevuta di versamento di 31 euro per la cremazione...) mi chiede di tirare fuori Cirillo (il suo corpicione) dalla trasportina. Io sudo, incespico, sbaglio la presa, Cirillo (o quel che ne rimane) mi scivola, sbatte pesantemente la testa sul pianale dove devo disporlo. Ma che me frega, dopotutto è morto, no?
Il resto è un oercorso che conosco. L'ho già fatto nel 1996 con Buio.
Torni a casa  e la casa è vuota. Rimangono solo i suoi segni, il pelo dappertutto, la sua cacca e la sua pipì nella lettiera (che sono riuscito a pulire solo dopo qualche giorno) le ciotole dell'acqua e del cibo in cucina...
Poi inziano le allcinazioni.
Quando hai un animale in casa stai inconsciamente attento a non pestarlo e ogni movimento strano nella periferia del tuo campo visivo può essere segno della sua presenza. Per cui i primi giorni mi sembrava di vederlo sempre alla periferia estrema del mio campo visivo...
E poi, come per Buio, inizia a mancarti al presenza di un gatto in casa. Nel caso di Buio fu più la presenza generica di un gatto, meglio, la sua assenza, a farsi sentire (le prime settimane la mia mente era un tripudio di aneddoti dimenticati e ritrovati) nel caso di Cirillo era lui a mancarmi, con la sua personalità, la sua invadenza, la sua presenza. Il fatto che c'era sempre anche quando non volevo che ci fosse o, viceversa, che non ci fosse (ma dove diavolo si e ficcato?) quando avevo bisogno di lui. Un contatto fisico, l'empatia col felino, un toccasana, una terapia psicanalitica naturale, de quale il corpo si abitua, e la sua assenza, per di più repentina, debilita, inaridisce. Per questo quando, giorni dopo, a cena da Paolo, la sua gatta Wanda mi è rimasta in braccio facendo le fusa per tutto il tempo che volevo. Io dovevo ricaricarmi di felinità e lei generosa era lì per quello.
Un mese è già passato, e tra un altro mese, più o meno, penserò già a un altro gatto da prendere. Avrà un compito difficile quel micio perché succedere a Cirillo è impossibile. Ma ogni gatto ha una sua personalità ben precisa, spero di incontrarne uno con una personalità forte e definita come quella dell'impelatore di Roma, di Camillo Babbano (o bubbonio come lo chiamavo negli ultimi tempi). Tutt'intorno le cose vanno avanti (e più invecchi più il tempo scorre velocemente) dentro di te hai dei tempi molto più lenti... Io sto ancora cercando di orientarmi senza più Cirilllo nella mia vita...
Ho capito che tutto cambia però, eh che cavolo!
Ciao Ciri!!!


Mark Frechette




Il 27 settembre del 1975 moriva Mark Frechette, il giovane di Boston  che Antonioni aveva scelto, nel 1969, su segnalazione della direttrice del casting Sally Dennison, come protagonista maschile del suo film americano Zabriskie Point (USA, 1969).
Di origini franco-canadesi, un dropout di Fairfield, Connecticut, Frechette era arrivat a Boston da  New York nel 1966 con la moglie e suo figlio lavorando come carpentiere. Lì conobbe Mel Lyman un musicista della Jim Kweskin Jug Band che era il leader di una comune di 100 membri di Fort Hill alla quale, con qualche fatica, si unì.
Mark aveva 22 anni quando fu ingaggiato da Antonioni, nonostante non avesse alcuna esperienza come attore. Grazie al film, nonostante fosse troppo raffinato per essere apprezzato dalla critica e dal pubblico statunitense (ancora oggi anonimi e ignoranti commentatori americani criticano il film sulla rete con argomentazioni discutibili), Frechette godette di una certa notorietà e nel marzo del 1970 comparve sulla copertina delle riviste Rolling Stone e Look Magazine.
Dopo le riprese Frechette tornò nella comune guidata dal musicista Mel Lyman portando con sé Daria Halprin, la co-protagonista del film (che lasciò la comune per sposare Dennis Hopper) devolvendo alla comune i 60.000 dollari che aveva guadagnato col film.

Frechette interpretò altri due film, di produzione italiana, Uomini contro (Italia, 1970) di Francesco Rosi e La grande scrofa nera (Italia, 1972) di Filippo Ottoni prima di finire arrestato il 29 agosto 1973, quando, insieme ad altri due membri della comune di cui faceva parte, tentò una rapina alla filiale della New England Merchant's Bank di Fort Hill. Uno dei due complici venne ucciso dalla polizia, mentre Frechette, nonostante la sua pistola fosse scarica, venne condannato a 15 anni e rinchiuso nel Massachusetts Correctional Institution di Norfolk. 
Frechette morì in carcere, all'età di 27 anni, in circostanze sospette in seguito ad un incidente in palestra: mentre stava facendo sollevamento pesi la sbarra che reggeva un peso di circa 70 gli cadde sul collo, uccidendolo per soffocamento. Gli inquirenti non sospettarono nulla di strano, tuttavia sono stati sollevati dei dubbi sulla versione ufficiale dell'accaduto in quanto sulla barra di sollevamento pesi che dovrebbe averlo ucciso non furono trovate tracce epiteliali del collo dell'attore. Frechette soffriva di depressione aveva quasi smesso di mangiare e aveva perso molto peso proprio in coincidenza del secondo anniversario della rapina cui uno dei suoi amici aveva perso la vita. E le raccomandazioni di uno psicologo che consigliava un'altra destinazione piuttosto che il carcere per Frechette, rimase inascoltata. Ma queste prove indiziare non convinsero gli inquirenti che conclusero che Frechette era stato incauto a fare sollevamento pesi, da solo, nelle sue condizioni fisiche.
Nel 2008 il regista Michael Yaroshevsky ha presentato un documentario di 27 minuti sulla vita di Frechette intitolato Death Valley Superstar.

Bellissimo, malinconico, introspettivo, Mark ha dato molto di sè al personaggio di Adam che interpreta nel film. Una storia apparentemente semplice che, a detta dei sui detrattori, parla poco della contestazione.




Ma Antonioni era un regista non uno storico né un politico, e ha restituito col suo sguardo da regista europeo le sue impressioni dell'America ai tempi della contestazione studentesca citando la musica (dai Pink Floyd ai ) la pop art i manifesti pubblicitari, raccontando una storia che è politica, nella quale mentre Adam, il giovane interpretato da Mark, viene ucciso dalla polizia quando sta restituendo un aeroplano biposto che aveva precedentemente rubato, Daria dopo aver assistito inerme a un consesso di plutocrati atti  a sfruttare commercialmente le bellezze del deserto, mentre gli americani autoctoni sono impiegati come servitù, immagina che la villa esploda in una delle più famose scene de cienma, vero maggio visivo alla psichedelia di quei tempi.
Non male per un borghese di 57 anni...



Questo post vuole essere un timido tributo a Mark Frechette e alla sua breve vita. Ci sarebbe piaciuto vedere quel suo bellissimo volto invecchiare, ma se davvero Mark ha scelto di togliersi la vita questa sua decisione, per quanto incomprensibile o non condivisibile, va rispettata ed è anch'essa espressione della sua tormentata personalità.
In una intervista concessa dopo il suo arresto Mark dichiarò: Non c'era modo di fermare quel che stava per succedere (...) Abbiamo raggiunto il punto in cui quel che noi tre volevamo veramente fare era di prendere il controllo di una banca. Un attacco diretto a tutto quello che sta strozzando il paese fino alla morte 1.

Una banca che ha soffocato di sicuro anche Frechette...

1) There was no way to stop what was going to happen.(...) We just reached the point where all that the three of us really wanted to do was hold up a bank. It would be like a direct attack on everything that is choking this country to death

(le splendide foto in b/n sono del robinsonarchive)
Fonti consultate per questo post:

Wikipedia
Rolling Stones Magazine

26 settembre 2009

E il Moderno di Roma?!?!

Lo scorso Ferragosto su Repubblica è stata pubblicata questa notizia:


Quando è stato aperto nel 1909 il Kine Pionier sorgeva in Germania e il biglietto di ingresso costava appena due penny. Il paese era governato da un imperatore e il cinema era ancora ai suoi albori. A cento anni di distanza il cinema più vecchio del mondo, a decretarlo è il Guinness dei primati, è ancora in funzione e in questi giorni è possibile vedere film come il pluripremiato The millionaire. Ora però la cittadina di Stettin non si trova più in territorio tedesco ma in Polonia. Non bisogna dimenticare che mentre il proiettore continuava a girare il mondo veniva cambiato da guerre e sconvolgimenti politico-sociali


Eppure a Roma, nel 1904 Filoteo Alberini apriva il cinema Moderno, tuttora in funzione...














Allora? come stanno davvero le cose?

24 settembre 2009

25 settembre, Clandestino Day


La tentazione sarebbe farsi prendere dallo sconforto, tale è la qualità – diciamo così – del dibattito pubblico, e tali le enormità che i leghisti sono capaci di pronunciare [e i media di amplificare].
Bisogna anche fare uno sforzo per non diventare schizofrenici, e detestare la banda Bossi per quel che dice sui migranti, e insieme provare un pizzico di invidia per il modo disinvolto con cui i leghisti replicano alle proteste della chiesa e minacciano perfino – Bossi ieri – di mettere in questione il Concordato tra Stato e chiesa. Un bell’esempio di laicità, si direbbe, non fosse che gli spiriti cannibali del razzismo e del nazionalismo [in questo caso sub-nazionalismo] non sono nuovi al disprezzo per le religioni e all’attrazione per paganesimi più o meno inventati. Ma insomma non sembra esserci fondo, a questo abisso. Non fosse che i media per fortuna non sono, come comunemente si crede, lo specchio della società, e i leghisti non sono la sola voce del nord Italia. Il partito di Bossi è caso mai il condensato della rozza prepotenza del piccolo capitale d’assalto, con una capacità molto efficace di presentarsi come tutore dei luoghi e delle tradizioni. Ma se in una regione cattolica come il Veneto, o che almeno lo è stata fino all’esplosione della forma moderna dell’arricchimento, ci si mette contro la religione cattolica, di che tradizione stiamo parlando? E se i luoghi vengono offesi dalla crosta di cemento e asfalto su cui viaggia quella forma dell’accumulazione, di che difesa del territorio sono paladine le «camicie verdi»? 


Non che queste evidenti contraddizioni preoccupino gran che i calderoli di tutti i nord, e del resto quasi nessuno gliele fa notare, ci lavora sopra e propone un modo aperto, e non ostile, di tutelare i luoghi e assieme la società, le tradizioni e l’apertura al mondo. Mi correggo: nessuno di quelli che partecipano al citato dibattito pubblico, né i partiti, né le figure istituzionali, né i media. Allo stesso tempo, dall’osservatorio piccolo ma molto vicino al livello del suolo di Carta, registriamo che, come accade nel cervello umano, neuroni si connettono tra loro, creando sinapsi, scintille d’intelligenza, e che lo fanno a modo loro, secondo i loro tempi e disegnando un panorama – mentale e sociale – del tutto inedito. Se una piccola compagnia teatrale inventa una rappresentazione sul rapporto con gli straniero, e una associazione organizza la proiezione di un film, se una cooperativa apre un ristorante multi-culinario, per così dire, o organizza corsi di lingua italiana [quella sempre meno nota a giornalisti televisivi o politici prealpini] per persone che vengono da lontano, se a Lampedusa, isola che non vuole diventare Alcatraz, si terrà un festival di cinema documentario intitolato all’Altro [che non è il giornale del mio amico Piero Sansonetti, ma la persona che in generale affoga dalle parti di Malta], se un grande cartello di movimenti, coordinamenti e associazioni prepara una manifestazione nazionale il 17 ottobre, se nelle parrocchie il disagio per le bestialità razziste monta tanto da smuovere le gerarchie, se la festa dei No Dal Molin, a Vicenza, quest’anno è dedicata anche al «pacchetto sicurezza», se in definitiva accadono migliaia di cose come questa, tutte insieme e tutte contro il «pacchetto sicurezza» e il reato di «clandestinità», allora forse vale la pena di sospendere lo sconforto, almeno per qualche tempo, e chiedersi, ciascuno di noi, non che cosa lo Stato [o i partiti di sinistra, o il papa, o chissà chi] può fare per noi, ma che cosa noi possiamo fare per la società che vogliamo, quindi per i nostri concittadini e le concittadine che non posseggono il passaporto italiano o europeo.
Carta, che è piccola ma al livello del suolo, lancia con il numero in uscita venerdì una piccola proposta: fare del 25 settembre prossimo il Clandestino Day, una giornata in cui chiunque voglia opporsi al razzismo e fondare un modo di vivere rispettoso fa qualcosa, un sit in o una proiezione, un visita a un ospedale [di quelli dove i «clandestini» non vanno più per paura] o un corteo, ciascuno secondo le sue inclinazioni e opportunità, ma tutti insieme. Per parlare con i cittadini, per segnalare alla politica e ai media che esiste un’altra faccia della Terra, per sentirsi meno soli, per preparare meglio il corteo di ottobre [e del resto l’ultima settimana di settembre è quella delle iniziative diffuse, dicono gli organizzatori della manifestazione]. Che ne dite: si potrebbe?
Nei prossimi giorni racconteremo nei dettagli quale iniziative sono state programmate; per segnalarne altre scrivete a carta@carta.org.
Tutte le iniziative per il Clandestino day sono su
http://clandestino.carta.org/?p=477
 Pierluigi Sullo
 i luoghi de C-Day a roma (per l'elecono completo clicca qui)



LAZIO

Roma: C-day a Carta [carta@carta.org]
Serata antirazzista, il 25 settembre, anche alla Sala Pintor, presso la sede di Carta di via dello Scalo di San Lorenzo 67, a Roma, promossa dalla redazione. Si comincia alle 18,30 con la presentazione del libro di Annamaria Rivera «Regole e roghi. Metamorfosi del razzismo» [edizioni Dedalo], una buona occasione per ragionare di razzismo ma anche di nuove esperienze di antirazzismo. Ttra gli altri, intervengono Grazia Naletto [Lunaria] e Simone Sestieri [rete romana Impronte]. All’incontro partecipa l’autrice. Alle 20,30 video-proiezione di «U stissu sangu. Storie più a sud di Tunisi» di Francesco Di Martino e Sebastiano Adernò:a questo nuovo documentario sono dedicati un articolo nelle prossime pagine e una lunga intervista su clandestino.carta.org. A seguire, musica DJ set con Antonino [afrobeat/funk/retrogrooves] e aperitivo interculturale. Durante la serata sarà possibile acquistare la maglietta e prenotare le felpe e le agende Clandestino.
Roma: RadioArticolo 1 – Cgil organizza una diretta audio alle ore 10 per il C-day [www.radioarticolo1.it].
Roma: [ninolisi@alice.it] Comunità cristiana di base san Paolo [che ospita la scuola per rifugiati Asinitas – nel cui ambito è stato realizzato il film Come un uomo sulla terra]
Roma: presso il centro sociale Brancaleone [via Levanna 11] alle ore 17,30 l’incontro«Clandestino… de che?», durante il quale sono previsti videoproiezioni [Storie di bimbi, a cura della scuola dell’infanzia Don Bosco, e Voci dal IV municipio di Eric Gad, Sean Precht, Orsetta Berni] e un dibattito con Moni Ovadia Antun Blazevic [attore e scrittore rom], Daniela Dobre [mediatrice culturale], Zahara Omarmohamed [mediatrice], Yousef Salman [Mezzaluna Rossa Palestinese], Marco Carsetti [Asinitas], Giuseppe De Marzo [A Sud], Francesca Koch [Casa delle donne], Marcello Paolozza [Rete Nuovo Municipio IV], Emiliano Viccaro [Horus liberato], con il coordinamento dell’associazione «il Mondo in IV».

Roma: Ginevra Bentivoglio Editoria [ufficiostampa@gbeditoria.it] Anteprima nazionale del documentario «Il viaggio di Adamo – naufragi e accoglienza a Portopalo», ore 18.30, vicolo dei Savelli 9.

Roma: Arci [roma@arci.it]. Ha presentato la proposta del C-day all’incontro romano del 23, di preparazione della manifestazione nazionale del 17 ottobre.
Roma: [info@madreterrafratelloclandestino.com] presentazione del libro Madre terra, fratello clandestino [edito dalla casa editrice Sangel] di Andrea Onori, con la prefazione di Aly Baba Faye e l’introduzione di Antonio Ricci del centro e studi ricerche Idos. La presentazione si terrà venerdì 25 settembre, alle ore 18.30 presso la libreria Gabi International in via Gabi 30 [San Giovanni].
Roma: centro sociale Spartaco [spartaco.it]. Ore 17, largo Appio Claudio, iniziativa di controinformazione sul pacchetto sicurezza. Partecipano Osservatorio Permanente Migranti X Municipio [osservatoriomigranti.munx@gmail.com], le associazioni antirazziste locali e Los Adoquines del carnevale argentino. Alle 21, al centro sociale di via Selinunte 57, proiezione di Come un uomo sulla terra e mostra fotografica a cura di Andrea Simonetti.

Roma: Città dell’altra economia azione@tiscali.it.

Roma: associazione Senza confine senzaconfine@libero.it.

Roma: associazione Popica [info@popica.org].

Roma: daSud [info@dasud.it]. Appuntamenti dalle 19,30 presso lo Spazio daSud in via Gentile da Mogliano 170 [Pigneto].

Roma: circolo Arci Arcobaleno Garbatella arcigarbatella@arciarcobaleno.it.

Roma: Servizio Rifugiati e Migranti – Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia srm@fcei.it.

Roma: Fiera dell’editoria della pace [info@editoriadellapace.org]
Roma: rete Impronte simonesestieri@hotmail.it. Il C-day è cominciato il 16 settembre con un grande incontro pubblico dedicato a come funziona la sanatoria [con Salvatore Fachile, avvocato]. Promotori con la rete Impronte: Rete per la libertà di movimento, Sci, La Città dell’Utopia, Laboratorio 53, Gruppo Rar.

Roma: Città dell’utopia [via Valeriano 3, lacittadellutopia@sci-italia.it]. Il 24 settembre, per la giornata europea del dialogo interculturale, iniziativa centrata sul tema dell’intercultura, in collaborazione con diverse associazioni romane che si occupano di rifugiati e richiedenti asilo.

...e anche Mike Francis is gone...

Mentre guardavo X-Factor ieri sera un accenno di Mara (Maionchi) mi ha indotto a controllare  su internet e ho scoperto che il 30 gennaio scorso (ehm) Mike Francis (nome d'arte di Francesco Puccioni) è morto per un cancro polmonare (so che i mie lurker superstiziosi e ipocondriaci mi saranno grati per questo post).

Mike Francis mi ricorda, come a tutti, i primi anni 80 (che per me significano la scuola, ma anche solitudine, inverno, pomeriggi bui in cui giravo solitario per le vie di Roma, freddo, voglia di un partner...), all'epoca la sua musica non mi piaceva, troppo commerciale, troppo diffusa troppo amata da tutti, ma, negli anni, se capitava, non mi sottraevo ad un ascolto casuale.

L'antipatia per lui venne rafforzata alquanto quando, una sera del 1983, girai come una trottola tra corso Tritone e Via del Corso, cercando l'lp Passionfruit di Michael Franks  e tutti mi propinavano l'lp di Mike Francis (e io No, non Mike Francis, Mikael Franks, e i commessi, tutti, Ah. E chi è?! AAAARRRGH).

La sua morte mi ha colpito tantissimo e, riascoltando la sua musica, fosse solo perché mi ricorda l'adolescenza, sa emozionarmi e la sua morte mi fa improvvisamente più male. Mike (Francesco) era giovanissimo aveva 4 anni più di me, e sapere che non c'è più mi commuove. Oh!


23 settembre 2009

Attualità del "discorso dei capelli"



Questa è la sequenza di apertura di uno dei film cui sono più legato Zabriskie Point di Michelangelo Antonioni. Nella scena è descritta un'assemblea politica universitaria nell'America contestataria della fine degli anni '60.
Dalla scena potete farvi un po' l'idea di quel che è successo lunedì sera all'aula 6 della facoltà di Economia de La Sapienza a Roma dove si è riunita l'assemblea di We have a dream. Al posto dell'opposizione neri (o "negri" come malamente doppiato in italiano, Antonioni girò il film in inglese) bianchi, ieri sera c'è stata quella, netta, tra universitari e... tutti gli altri!!!

Dovevamo decidere se partecipare o no alla manif di giovedì, quella che doveva essere contro l'omofobia e che è diventata contro tutti i razzismi e l'intolleranza, voluta da Alemmano (sindaco di Roma) Zingaretti (presidente della provincia di Roma) e Marazzo (presidente della Regione Lazio) alla quale ha aderito il Vicariato (sì, quello che ha rifiutato il funerale cattolico a Welby, è contrario all'istallazione di distributori di profilattici nelle scuole, che considera il matrimonio civile una unione irregolare ed è contrario alle unioni civili perché considerate una battaglia ideologica della quale non si sente il bisogno perché dall'istituzione delle unioni civili non scaturirà nessun effetto concreto per i cittadini fonte Corriere della sera del 16/12/07) e anche Il popolo di Roma organizzazione a rischio eversione visto che scrive nel suo programma politico: (...)siamo favorevoli a “rivoluzionare” anche l’attuale Costituzione, che per noi non è né un libro sacro, né qualcosa di immutabile

Come WHAD (acronimo di We Have A Dream) avevamo deciso di non andare per non darci la fisionomia di associazione e perché troppo la manif era troppo istituzionalizzata a di andarci solo come singoli. Avevamo deciso di non fare una fiaccolata venerdì per non sovrapporci e non metterci in competizione, ma poi, sapute le ultime adesioni, ci volevamo chiedere se partecipare o no e poi come partecipare.
Ma siamo stati sommersi da una serie di interventi, per la maggior parte provenienti da partecipanti all'assemblea di area studentesca, che hanno iniziato a dire:
che abbiamo una mentalità istituzionalizzata,
che le istituzioni fanno schifo,
che la costituzione fa schifo perché non riconosce i diritti delle persone intersessuali (!!!).
Ci hanno sgridato per aver ringraziato Napolitano,
per aver ringraziato le forze dell'ordine a Montecitorio,
perché qualcuno aveva ispirazioni troppo borghesi e voleva sposarsi e che forse il matrimonio non era proprio il massimo ideale (vi ricorda qualcuno?).
Insomma mentre noi valevamo fare una discussione organizzativo/pratica, alla fine, anche alzando la voce, ci hanno chiesto come potete in quanto gay marciare al fianco dei fascisti.
Molte delle cose dette erano condivisibili (altre no) ma era il modo di dirlo, la retorica usata, il frasario impiegato e la spocchia che caratterizza tutti quando siamo giovani (io mi sono sentito dire che, visto che secondo loro non sono abbastanza rivoluzionario, forse è così perché sono un disilluso; un altro ragazzo mi ha detto, durante la discussione, va beh te la sei cavata visto che è tardi e dobbiamo andare) che dava fastidio e mi hanno provocato una delusione e una rabbia incontrollate.
Delusione che i giovani di sinistra di oggi siano così pieni di luogo comuni, così conformisti e, in ultima analisi, così reazionari a-scientifici e, dunque, fascisti, come i compagni di autonomia operaia che frequentavo quando all'università c'ero io (dal 1986 al 1991).
Rabbia perché, alla fine, aveva perso solo tempo a confrontarci coi dogmatismi già individuati come tali nei film di 40 anni fa.
Così quando una parte di assemblea, quando qualcuno ha interrotto qualcun altro che stava parlando solo perché non era d'accordo con lui, invece di censurare chi aveva interrotto, ha applaudito in suo favore, io mi sono scazzato, ho citato la battuta di Adam in Zabriskie Point e me ne sono andato.
O meglio, ho minacciato di andarmene, seguito da qualche compagno e compagna coi quali mi sono calmato, complici un bicchiere di vino e due tiri di joint, e sono rimasto, FINO ALLE 2 DEL MATTINO, senza risolvere nulla se non sentire una contrapposizione, senza sentirmi invaso da un pensiero così antagonista che l'unica conseguenza coerente è quella della sovversione che non mi vede d'accordo e che, soprattutto, non è nelle corde del movimento WHAD che non è antagonista.
Intanto si perdono gli scopi politici in nome di un idealismo e di un dogmatismo (nudi e puri) che non serve a nessuno.
Morale della favola whad non ci sarà alla manif di domani e solo a titolo personale qualcuno di noi vi parteciperà con un dress code ben preciso e stabilito e andremo a fare controinformazione, pacifica, democratica ma incazzosa.

Ci ho messo due giorni per scrivere questo post perché ho dovuto smaltire la rabbia e digerire l'esperienza.

Mi è venuto in aiuto Pasolini e non solo quello della poesia
Valle Giulia - Il Pci ai giovani!! ma anche quello de Il discorso dei capelli che vi voglio riproporre:

La prima volta che ho visto i capelloni, è stato a Praga. Nella hall dell'albergo dove alloggiavo sono entrati due giovani stranieri, con i capelli lunghi fino alle spalle. Sono passati attraverso la hall, hanno raggiunto un angolo un po' appartato e si sono seduti a un tavolo. Sono rimasti lì seduti per una mezzoretta, osservati dai clienti, tra cui io; poi se ne sono andati. Sia passando attraverso la gente ammassata nella hall, sia stando seduti nel loro angolo appartato, i due non hanno detto parola (forse - benché non lo ricordi - si sono bisbigliati qualcosa tra loro: ma, suppongo, qualcosa di strettamente pratico, inespressivo).

Essi, infatti, in quella particolare situazione - che era del tutto pubblica, o sociale, e, starei per dire, ufficiale - non avevano affatto bisogno di parlare. Il loro silenzio era rigorosamente funzionale. E lo era semplicemente, perché la parola era superflua. I due, infatti, usavano per comunicare con gli astanti, con gli osservatori - coi loro fratelli di quel momento - un altro linguaggio che quello formato da parole.
Ciò che sostituiva il tradizionale linguaggio verbale, rendendolo superfluo - e trovando del resto immediata collocazione nell'ampio dominio dei «segni», nell'ambito ciò della semiologia - era il linguaggio dei loro capelli.
Si trattava di un unico segno - appunto la lunghezza dei loro capelli cadenti sulle spalle - in cui erano concentrati tutti i possibili segni di un linguaggio articolato Qual era il senso del loro messaggio silenzioso ed esclusivamente fisico?
Era questo: «Noi siamo due Capelloni. Apparteniamo a una nuova categoria umana che sta facendo la comparsa nel mondo in questi giorni, che ha il suo centro in America e che, in provincia (come per esempio anzi, soprattutto - qui a Praga) è ignorata. Noi siamo dunque per voi una Apparizione. Esercitiamo il nostro apostolato, già pieni di un sapere che ci colma e ci esaurisce totalmente. Non abbiamo nulla da aggiungere oralmente e razionalmente a ciò che fisicamente e ontologicamente dicono i nostri capelli. Il sapere che ci riempie, anche per tramite del nostro apostolato, apparterrà un giorno anche a voi. Per ora è una Novità, una grande Novità, che crea nel mondo, con lo scandalo, un'attesa: la quale non verrà tradita. I borghesi fanno bene a guardarci con odio e terrore, perché ciò in cui consiste la lunghezza dei nostri capelli li contesta in assoluto. Ma non ci prendano per della gente maleducata e selvaggia: noi siamo ben consapevoli della nostra responsabilità. Noi non vi guardiamo, stiamo
sulle nostre. Fate così anche voi, e attendete gli Eventi».
Io fui destinatario di questa comunicazione, e fui anche subito in grado di decifrarla: quel linguaggio privo di lessico, di grammatica e di sintassi, poteva essere appreso immediatamente, anche perché, semiologicamente parlando, altro non era che una forma di quel
«linguaggio della presenza fisica» che da sempre gli uomini sono in grado di usare.
Capii, e provai una immediata antipatia per quei due. Poi dovetti rimangiarmi l'antipatia, e difendere i capelloni dagli attacchi della polizia e dei fascisti: fui naturalmente, per principio, dalla parte del Living Theatre, dei Beats ecc.: e il principio che mi faceva stare
dalla loro parte era un principio rigorosamente democratico.
I capelloni diventarono abbastanza numerosi - come i primi cristiani: ma continuavano a essere misteriosamente silenziosi; i loro capelli lunghi erano il loro solo e vero linguaggio, e poco importava aggiungervi altro. Il loro parlare coincideva col loro essere. L'ineffabilità era l'ars retorica della loro protesta.
Cosa dicevano, col linguaggio inarticolato consistente nel segno monolitico dei capelli, i capelloni nel 66-67? Dicevano questo: «La civiltà consumistica ci ha nauseati. Noi protestiamo in modo radicale. Creiamo un anticorpo a tale civiltà, attraverso il rifiuto. Tutto pareva andare per il meglio, eh? La nostra generazione doveva essere una generazione di integrati? Ed ecco invece come si mettono in realtà le cose. Noi opponiamo la follia a un destino di executives. Creiamo nuovi valori religiosi nell'entropia borghese, proprio nel momento in cui stava diventando perfettamente laica ed edonistica. Lo facciamo con un clamore e una violenza rivoluzionaria (violenza di non-violenti!) perché la nostra critica verso la nostra società è totale e intransigente».
Non credo che, se interrogati secondo il sistema tradizionale del linguaggio verbale, essi sarebbero stati in grado di esprimere in modo cosi articolato l'assunto dei loro capelli: fatto sta che era questo che essi in sostanza esprimevano. Quanto a me, benché sospettassi fin da allora che il loro «sistema di segni» fosse prodotto di una sottocultura di protesta che si opponeva a una sottocultura di potere, e che la loro rivoluzione non marxista fosse sospetta, continuai per un pezzo a essere dalla loro parte, assumendoli almeno nell'elemento anarchico della mia ideologia.
Il linguaggio di quei capelli, anche se ineffabilmente, esprimeva «cose» di Sinistra. Magari della Nuova Sinistra, nata dentro l'universo borghese (in una dialettica creata forse artificialmente da quella Mente che regola, al di fuori della coscienza dei Poteri particolari e storici, il destino della Borghesia).
Venne il 1968. I capelloni furono assorbiti dal Movimento Studentesco; sventolarono con le bandiere rosse sulle barricate. Il loro linguaggio esprimeva sempre più «cose» di Sinistra. (Che Guevara era capellone ecc.).
Nel 1969 - con la strage di Milano, la Mafia, gli emissari dei colonnelli greci, la complicità dei Ministri, la trama nera, i provocatori - i capelloni si erano enormemente diffusi: benché non fossero ancora numericamente la maggioranza, lo erano però per il peso ideologico che essi avevano assunto. Ora i capelloni non erano più silenziosi: non delegavano al sistema segnico dei loro capelli la loro intera capacità comunicativa ed espressiva. Al contrario, la presenza fisica dei capelli era, in certo modo, declassata a funzione distintiva. Era tornato in funzione l'uso tradizionale del linguaggio verbale. E non dico verbale per puro caso. Anzi, lo sottolineo. Si è parlato tanto dal '68 al'70, tanto, che per un pezzo se ne potrà fare a meno: si è dato fondo alla verbalità, e il verbalismo è stata la nuova ars retorica della rivoluzione (gauchismo, malattia verbale del marxismo!). Benché i capelli - riassorbiti nella furia verbale - non parlassero più autonomamente ai destinatari frastornati, io trovai tuttavia la forza di acuire le mie capacità decodificatrici, e, nel fracasso, cercai di prestare ascolto al discorso silenzioso, evidentemente non interrotto, di quei capelli sempre più lunghi.
Cosa dicevano, essi, ora? Dicevano: «Sì, è vero, diciamo cose di Sinistra; il nostro senso - benché puramente fiancheggiatore del senso dei messaggi verbali - è un senso di Sinistra... Ma... Ma...». II discorso dei capelli lunghi si fermava qui: lo dovevo integrare da solo. Con quel «ma» essi volevano evidentemente dire due cose:
1) «La nostra ineffabilità si rivela sempre più di tipo irrazionalistico e pragmatico: la preaminenza che noi silenziosamente attribuiamo all'azione è di carattere sottoculturale, e quindi sostanzialmente di destra»;
2) «Noi siamo stati adottati anche dai provocatori fascisti, che si mescolano ai rivoluzionari verbali (Il verbalismo può portare però anche all'azione, soprattutto quando la mitizza): e costituiamo una maschera perfetta, non solo dal punto di vista fisico - il nostro disordinato fluire e ondeggiare tende a omologare tutte le facce - ma anche dal punto di vista culturale: infatti una sottocultura di Destra può benissimo essere confusa con una sottocultura di Sinistra».
Insomma capii che il linguaggio dei capelli lunghi non esprimeva piú «cose» di Sinistra, ma esprimeva qualcosa di equivoco, Destra-Sinistra, che rendeva possibile la presenza dei provocatori. Una diecina d'anni fa, pensavo, tra noi della generazione precedente, un provocatore era quasi inconcepibile (se non a patto che fosse un grandissimo attore): infatti la sua sottocultura si sarebbe distinta, anche fisicamente, dalla nostra cultura. L'avremmo conosciuto dagli occhi, dal naso, dai capelli! L'avremmo subito smascherato, e gli avremmo dato subito la lezione che meritava. Ora questo non è più possibile. Nessuno mai al mondo potrebbe distinguere dalla presenza fisica un rivoluzionario da un provocatore. Destra e Sinistra si sono fisicamente fuse.
Siamo arrivati al 1972. Ero, questo settembre, nella cittadina di Isfahan, nel cuore della Persia. Paese sottosviluppato, come orrendamente si dice, ma, come altrettanto orrendamente si dice, in píeno decollo.
Sull'Isfahan di una diecina di anni fa - una delle più belle città del mondo, se non chissà, la più bella - è nata una Isfahan nuova, moderna e bruttissima. Ma per le sue strade, al lavoro, o a passeggio, verso sera, si vedono i ragazzi che si vedevano in Italia una diecina di anni fa: figli dignitosi e umili, con le loro belle nuche, le loro belle facce limpide sotto i fieri ciuffi innocenti. Ed ecco che una sera, camminando per la strada principale, vidi, tra tutti quei ragazzi antichi, bellissimi e pieni dell'antica dignità umana, due esseri mostruosi: non erano proprio dei capelloni, ma i loro capelli erano tagliati all'europea, lunghi di dietro, corti sulla fronte, resi stopposi dal tiraggio, appiccicati artificialmente intorno al viso con
due laidi ciuffetti sopra le orecchie.
Che cosa dicevano questi loro capelli? Dicevano: «Noi non apparteniarno al numero di questi morti di fame, di questi poveracci sottosviluppati, rimasti indietro alle età barbariche. Noi siamo impiegati di banca, studenti, figli di gente arricchita che lavora nelle società petrolifere; conosciamo l'Europa, abbiamo letto. Noi siamo dei borghesi: ed ecco qui i nostri capelli lunghi che testimoniano la nostra modernità internazionale di poveri privilegiati ».
Quei capelli lunghi alludevano dunque a «cose» di Destra. Il ciclo si è compiuto. La sottocultura al potere ha assorbito la sottocultura all'opposizione e l'ha fatta propria: con diabolica abilità ne ha fatto pazientemente una moda, che, se non si pu proprio dire fascista nel senso classico della parola, è però di una «estrema destra» reale.
Concludo amaramente. Le maschere ripugnanti che i giovani si mettono sulla faccia, rendendosi laidi come le vecchie puttane di una ingiusta iconografia, ricreano oggettivamente sulle loro fisionomie ciò che essi solo verbalmente hanno condannato per sempre. Sono saltate fuori le vecchie facce da preti, da giudici, da ufficiali, da anarchici fasulli, da impiegati buffoni, da Azzeccagarbugli, da Don Ferrante, da mercenani, da imbroglioni, da benpensanti teppisti. Cioè la condanna radicale e indiscriminata che essi hanno pronunciato contro i loro padri - che sono la storia in evoluzione e la cultura precedente - alzando contro di essi una barriera insormontabile, ha finito con l'isolarli, impedendo loro, coi loro padri, un rapporto dialettico. Ora, solo attraverso tale rapporto dialettico - sia pur drammatico ed estremizzato - essi avrebbero potuto avere reale coscienza storica di sé, e andare avanti, «superare» i padri. Invece
l'isolamento in cui si sono chiusi - come in un mondo a parte, in un ghetto riservato alla gioventù - li ha tenuti fermi alla loro insopprimibile realtà storica: e ciò ha implicato - fatalmente - un regresso. Essi sono in realtà andati più indietro dei loro padri, risuscitando nella loro anima terrori e conformismi, e, nel loro aspetto fisico, convenzionalità e miserie che parevano superate per sempre.
Ora così i capelli lunghi dicono, nel loro inarticolato e ossesso linguaggio di segni non verbali, nella loro teppistica iconicità, le «cose» della televisione o delle réclames dei prodotti, dove è ormai assolutamente inconcepibile prevedere un giovane che non abbia i capelli lunghi: fatto che, oggi, sarebbe scandaloso per il potere.
Provo un immenso e sincero dispiacere nel dirlo (anzi, una vera e propria disperazione): ma ormai migliaia e centinaia di migliaia di facce di giovani italiani, assomigliano sempre più alla faccia di Merlino. La loro libertà di portare i capelli come vogliono, non è più difendibile, perché non è più libertà. È giunto il momento, piuttosto, di dire ai giovani che il loro modo di acconciarsi è orribile, perché servile e volgare. Anzi, è giunto il momento che essi stessi se ne accorgano, e si liberino da questa loro ansia colpevole di attenersi all'ordine degradante dell'orda.

Contro i capelli lunghi Corriere della Sera, 7 gennaio 1973 (poi ripubblicato in Scritti corsari con il titolo Il ‘discorso’ dei capelli").

21 settembre 2009

"il" switch off???

Stamane, mentre ascoltavo come al solido il gr2, sento la giornalista Anna Longo parlare di radio digitali presentati al Prix Italia la 61ma edizione della rassegna dedicata al meglio della tv, della radio e del web, a Torino dal 20 al 26 settembre. Un servizio confuso, che non ricorda nemmeno che il 24 p.v. a Torino ci sarà lo switch over (cioè lo spegnimento dell'analogico per Raidue e Rete4 visibili solo su decoder). C0sì come il servizio è impreciso quando Anna Longo dice che per avere i nuovi servizi della radio digitale dovremo aspettare lo swich off, cioè lo spegnimento totale della tv digitale, che in Italia avverrà solo tra due anni) perché si liberino le frequenze ora occupate dall'analogico (le cose non sono affatto così semplici...).
Ma non è di questo che voglio parlarvi (anche se un post al digitale prima o poi mi toccherà scriverlo...).
La giornalista ha candidamente detto Il switch off e non, come andrebbe detto secondo la lingua italiana, Lo switch off. Trent'anni Anna Longo avrebbe ricevuto una multa salatissima (e, in caso di errori ripetuti, avrebbe anche rischiato il posto).
Oggi temo che rischio solo di beccarsi il mio VAFFANCULO.

STUDIATE L'ITALIANO porca miseria!!! Siete ascoltati da milioni di cittadini! Che esempio date!!!

Santanché non ce la dai a bere!

Ieri Daniela Santanché, leader del Movimento per l'Italia, ha protestato a Milano, davanti alla Fabbrica del Vapore di Milano, dove si stava svolgendo una festa islamica per la fine del Ramadan, contro l'uso del Burqa. Impegnata da tempo in una battaglia per l’integrazione e contro il fondamentalismo islamico è giunta a Milano con l’intento di vietare l’ingresso alla festa delle donne in burqa. Nei giorni scorsi aveva lanciato un appello contro l’uso del burqa come atto di solidarietà e testimonianza per la la tragica fine della giovane Sanaa uccisa dal padre per la sua relazione con un ragazzo italiano.

L'ex parlamentare (si è presentata alle ultime elezioni politiche come candidata leader de La Destra-Fiamma Tricolore la lista in cui sono confluiti, per motivi elettorali, La Destra di Francesco Storace e il Movimento Sociale Fiamma Tricolore di Luca Romagnoli, ma non è stata eletta la coalizione non avendo superato lo sbarramento del 4%) non ha solamente cercato di impedire alle donne di partecipare alla festa, accusandole di violare la legge 152 del 1975 che vieta di nascondere il viso, ma, secondo gli organizzatori della festa, ha anche cercato di strappare il burqa ad alcune di loro. Una provocazione che non è stata gradita da alcuni partecipanti che, secondo Santanché l'avrebbero colpita con un pugno, anche se gli organizzatori della festa negano. Ricoverata in ospedale, le sono state riscontrare delle contusioni guaribili in 20 giorni.

L'ex parlamentare, ha dichiarato ai giornalisti: La legge italiana vieta che si giri con il volto coperto e va rispettata. Non ce l’ho con queste povere donne ma con chi le manda e le soggioga. Il burqa è un umiliazione per le donne. Non a caso anche in Francia stanno approvando una legge per impedirne l’uso. Il burqa è come l’infibulazione perché sono strumenti per annullare la sua identità più profonda.

Argomentazioni sostenibili, che però non giustificano le modalità di intervento, che denunciano tutt'altra mentalità, tutt'altro pensiero. Se Santanché fosse davvero solidale con le donne come dice di essere dovrebbe cercare di parlare con loro, di dare loro la possibilità di autodeterminarsi non di impedire loro di partecipare alla festa per la fine del ramadan. Non ti fai forte di una legge (promulgata durante l'emergenza terrorismo).
Una manifestazione di protesta e solidarietà non implica un gesto paternalistico, fascista e aggressivo, come quello di strappare il burqua e di fare arrestare chi lo porta.
Quella del burqua è una questione delicata che non si risolve certo con la forza o con l'applicazione di una legge che ha già avuto delle deroghe...
Santanché si accanisce contro ogni forma di differenza cultuale, giudicandola con occhi etnocentrici. Se Santanché fosse davvero contraria al sessismo e al maschilismo dovrebbe insorgere contro ogni sua manifestazione quando accade in Italia anche ai danni di cittadini italiani. Santanché invece si accanisce solamente con chi è diverso da lei.

"Parlerò con il ministro Maroni - ha detto Santanché - per chiedergli di far rispettare la legge. Io non ce l'ho con le donne. Ma bisogna dire basta alla giustificazione religiosa del burqa, perché è invece una imposizione culturale, e non è previsto dal Corano".
Ma imporre alle donne con la forza di togliersi un velo imposto loro dalla forza delle tradizioni culturali è una imposizione culturale tanto quanto quella del burqa. E questa decisione paternalistica, violenta, aggressiva dimostra quanto la sua considerazione per queste donne non sia poi così diversa da quella dei tanto odiati fratelli musulmani.
Non si entra come un bisonte in un negozio di cristalli, se poi nello sfacelo che si genera, ci si fa male, dispiace, ma chi è la vera vittima?

(fonti Ansa e La Stampa)

No all'omofobia. E il razzismo???

E mentre un attentato incendiario al Qube fa gridare i giornali (da Libero a Repubblica al Messaggero) all'ennesimo caso di omofobia, mentre le associazioni di categoria dimostrano un equilibrio e una responsabilità ben maggiori (d'altronde la vocazione anti-omofoba è solo l'ultima moda, che cadrà presto nel dimenticatoio, una logica infame quella della notizia-spettacolo dalla quale non sono immuni nemmeno gli organizzatori della manifestazione a sostengo della libertà di stampa, spostata al 3 ottobre p.v.m per non rimanere offuscati dai morti in Afghanistan...) l'uccisione di un lavavetri senegalese, il cui corpo senza vita è stato ritrovato nei pressi del parco della Caffarella di Roma, non è stata data con la stessa enfasi.
Solo Il Messaggero e Repubblica, giornali romani, pubblicano un articolo di un certo spessore, per Corriere e Unione Sarda solo un trafiletto nel quale non si denuncia il razzismo, la xenofobia, né si fa cenno all'imminente manifestazione del 24 settembre voluta da Comune di Roma, Provincia e Regione contro ogni forma di violenza di stampo razzista ed omofobo. Solo messaggero e repubblica riportano le dichiarazioni del gruppo Everyone:
«È un fatto orribile - dicono Roberto Malini, Matteo Pegoraro e Dario Picciau, del Gruppo Everyone - Ma ancora più inquietante è la censura attuata da tutti i media italiani di fronte all'episodio, che è stato divulgato senza alcun rilievo, come se si trattasse di un evento senza importanza. Se al posto di un nero senegalese vi fossero stati una donna o un ragazzo italiani, i giornali ospiterebbero la notizia nelle prime pagine e da ogni parte si solleverebbe un allarme violenza nella Capitale». Il Gruppo Everyone rende noto di aver segnalato «alle autorità internazionali» questo «ennesimo accadimento», sollecitando «una presa di posizione decisa e inequivocabile da parte delle Nazioni Unite, dell'Unione europea e dei Paesi civili».
Per gli altri l'omicidio del lavavetri resta un evento a sé, non accomunabile ad altri, né al clima di esasperazione fomentato dalla stessa stampa che enfatizza i crimini commessi da extracomunitari dando poco rilievo ai crimini nei quali gli extracomunitari sono le vittime.
Il 25 scendiamo in piazza anche per il lavavetri (del quale non si conosce ancora il nome non avendo l'uomo dei documenti con sé), così come scendiamo in piazza per Abba e per tutte le vittime di queste continue aggressioni.
Abba e il lavavetri sono gente come noi.  Sono noi. A chi tocca la prossima volta?

20 settembre 2009

Ma questi sanno di che parlano???


C'e' un tentativo neanche troppo celato, di sovvertire un governo eletto dal popolo attraverso operazioni di palazzo che nulla hanno a che fare con l'opinione degli italiani.

Maria Stella Gelmini, ministro dell'Istruzione,(fonte Corriere della sera)

Caro Ministro, torna a scuola.
Il Governo non lo elegge il popolo, ma il Parlamento.
Un parlamento i cui componenti, quelli sì eletti dal popolo, non sono stati scelti dal popolo ma dalle segreterie di partito.

Quindi di che cacchio stai parlando???

Criticare è legittimo ma comportarsi così significa far politica a scuola e questo non è corretto. Se un insegnante vuol far politica deve uscire dalla scuola e farsi eleggere.

No, non Benito Mussolini, bensì Maria Stella Gelmini, Ministro (sic!) dell'Istruzione (fonte Diario del Web)
Stiamo giungendo all'attacco finale. Non si può dissentire, non si puàl criticare. chi critica fa politica e quella non possono farla tutti i cittadini ma solo chi fa della politica il proprio mestiere.

Ancora sulla caccia e su Mina

E mentre nello stesso giorno dell'apertura ufficiale della caccia un cacciatore è già morto ammazzato (si ammazzassero tutti tra di loro sarebbe un modo magnifico per levarceli di trono) riprendo queste righe firmate Mina, comparse oggi su La Stampa, pienamente condivisibili (tranne il fagiano, ma per questione di gusti).

Oggi parte la stagione venatoria. Speriamo che non torni più.
Non mi pare che avessimo bisogno del rumore di ulteriori spari, ma oggi, sciaguratamente, saremo costretti ad accettarne altri. Molti, troppi, sparsi, sconclusionati e blasfemi in giro per campagne, radure, canneti, costoni a macellare i pochi residui di silenzio e un po’ di carne tanto innocente da viva quanto inutile da morta.

Il lugubre, scellerato carnevale di un delirante divertimento si compirà tra i pum-pum dei fucili e i bau-bau dei cani allenati, ma non si tratterà di un cartone animato. Si sprecheranno chissà quante risate per mire barcollanti e chissà quali complimenti per panieri ricolmi. Ferme magistrali e riporti degni di antiche stampe inglesi serviranno per le celebrazioni degli unici animali che si salveranno nella festa dell’ammazzamento.

Qualcuno che capisce di caccia, dopo avermi raccontato di Artemide, dea della caccia, delle iscrizioni dei cavernicoli e dell’unica fonte proteica dell’uomo appena diventato sapiens, mi spiegherà pure l’attualissimo sfondo ecologico dell’eliminazione delle sovrabbondanze. E io mi annoierò per i paleosimboli, per le antiche allegorie, per i neosignificati.

Provo il più doloroso senso di nausea all’odore della polvere da sparo, di scoppi, di sangue incidentale o intenzionale che sia. Tutto è follia su questa terra. Il mondo meriterebbe di essere ridisegnato, l’uomo dovrebbe essere riarchitettato cominciando dal rispetto di ciò che riusciamo ad avvertire con i nostri sensi. Si potrebbe iniziare con un leprotto che attraversa il sentiero, un uccellino che scompiglia la simmetria di uno stormo, un cinghiale con la sua esigenza di libertà, uno stambecco ignaro del «big hunter». Mi corre l’obbligo di una eccezione per il glorioso, irripetibile fagiano natalizio che, ogni dicembre, si suicida nella padella di Anna Maria tra burro, magici ingredienti e segreti adatti alla meraviglia. Per questo mi si perdonerà.

«La morte è una delle componenti dell’ordine dell’universo», diceva Montaigne. Certo, la morte, ma non gli eccidi organizzati. Né di animali disarmati, né di ragazzi anche se armati. Chi ha un avanzo di cuore ha il dovere di stupirsi per ogni singola vita tolta con uno sparo. La biologia è già così terribilmente dura e crudele che non mi sembra ci siano giustificazioni per chi le dà una mano. Dobbiamo arrenderci. L’uomo è una bestia, l’animale mai.

Mina La Stampa, 20 settembre 2009

Buon compleanno Sofia!!!

Mina da 1 a 50 (20)

E mentre sonnecchio al pc, invece di andare a dormire, cercando notizie sull'uscita del prossimo disco di inediti di Mina (quello che doveva uscire già a novembre dello scorso anno), il colpo d'occhio dei dischi della Tigre usciti nel nuovo millennio rimanda a un panorama desolante e triste.
Il 2000 si apre con Dalla Terra, album uscito in occasione del Giubileo straordinario voluto da Woytila. Album prestigioso, che si vendeva anche nelle librerie religiose, nel quale la potenza vocale di Mina in brani come Magnificat emoziona e colpisce, ma... sempre un album di arie sacre è. Non lo metto mai nel mio lettore cd.
Ci si deve accontentare del disco, fuori commercio, anche se inserito nella discografia ufficiale, primo dei due EP (come si diceva una volta), con appena 4 brani, Mina per Wind dove Ride Like the Wind fa rimpiangere i bei tempi in cui la Tigre proponeva un doppio con un volume di cover. Un pezzo forte, ben arrangiato (anche a Massimiliano scappa qualcosa di buono ogni tanto), ma un pezzo solo.



Nel 2001 esce Sconcerto un disco di cover dalle origini misteriose (pare sia rimasto nel cassetto per diversi anni prima di vedere la luce...). Gran bel lavoro, penalizzato (ma è un giudizio personalissimo) dal fatto di essere monografico. Anche se Modugno è uno dei migliori autori disponibili sulla piazza italiana sempre dello stesso autore si tratta. Meglio 3 4 pezzi diluiti in un album di cover miste... Tu si' 'na cosa grande rimane però uno dei capolavori assoluti di tutta la musica leggera del passato del presente e anche del futuro.


Il 2002 vede il primo disco di inediti dal 1999 (l'anno di Olio). Veleno è un album ambizioso che paga lo scotto di una produzione pavida, soprattutto nell'arrangiamento di qualche pezzo. UN album che ha la presunzione di affiancare brani di grandi autori, come le (rare) perle di Certe cose si fanno di Lauzi e In percentuale di Samuele Bersani (che non è propriamente un inedito, la musica essendo già comparsa nella colonna sonora del film Chiedimi se sono felice) con pezzi discreti come D'amore non scrivo più, La seconda da sinistra di Silvestri (penalizzato dall'arrangiamento senile di Gianni Ferrio) e Solo un attimo di Giulia Fasolino (brano con un grossolano errore di scrittura musicale nel finale) accanto a brani davvero brutti, imbarazzanti, insomma, posso dirlo?, delle merdine, a cominciare dall'odioso pezzo di Zucchero (autore che dovrebbe andare in pensione da un pezzo) continuando con Che fatica di Zero-Fabrizio (e si stenta a riconoscere nell'autore delle musiche lo stesso de I migliori anni della nostra vita e Almeno tu nell'universo mentre nel caso de Il pazzo solo la morte del suo autore (avvenuta pochi anni dopo) ne giustifica in parte la bruttezza (evidentemente Bigazzi stava male già quando ha scritto il pezzo...). I pezzi dei soliti emeriti sconosciuti sono sciatti, volgari, piatti, e si dimenticano subito dopo il primo (l'unico) ascolto... Insomma il classico disco contenitore di Mina che inanella cosa assai diverse per stile e qualità. Pensare che l'album venne preannunciato con altisonanti dichiarazioni ("album bomba") contribuendo a una delusione che non poteva essere più cocente: Veleno nomen omen.
Il 2003 vede la luce uno dei più noiosi, mal prodotti, peggio cantati, sciaguratamente arrangiati album di tutta la carriera di Mina (compreso Catene) Napoli secondo estratto: pezzi nenia, cantanti controvoglia, con una voce svagata, rauca, al limite della stonatura. Esecuzioni guidate dall'idea da manicomio che se un pezzo è classico va suonato lento. I risultano è che canzoni diverse per stile, ritmica e età sono spalmate su registri maledettamente LENTI. Un incubo di cattivo gusto musicale con l'esclusione di Cu 'e mmane, l'unico pezzo inedito del disco, degli Audio 2, che in un album di inediti farebbe la sua bella figura, ma annegato in un mare di noia e di sbadigli finisce col passare inosservato.
Se poi ripenso alla truffa del marketing che, a distanza di appena una settimana dalla sua prima uscita, fece uscire l'album in edizione speciale a tiratura limitata contenente un mini cd con altri due pezzi (Reginella e Malatia) mi prudono le mani. Un'operazione ignobile, una truffa per i consumatori e per i fan. Mina vaffanculo!

Il 2004, per decisione della Sony, presumo, con l'insostenibile scusa ufficiale che erano giunti nuovi brani che Mina voleva assolutamente aggiungere nell'album, facendone slittare l'uscita da novembre a gennaio (in realtà per non ostacolare le vendite del primo Platinum Collection che da marzo a dicembre ha venduto come non mai), è il primo anno nella storia discografica di Mina, da quel del 1958, che non vede l'uscita di un suo album. Un guinnes dei primati ineguagliabile rovinato per sempre da esigenze di mercato: Sony VAFFANCULO!

Così l'album esce agli inizi del 2005. Bula bula il migliore album di Mina del decennio, so far, grazie al genio di Nicolò Fragile che le regala uno splendido pezzo come Vai e vai, ma tante sono le perle dell'album, impreziosito dal basso di Andrea Braido (ascoltatelo in Bell'animalone da far rimanere senza fiato...) e con una memorabile La fretta nel vestito di quel Pizzorno che le aveva già regalato altri due capolavori Di vista in Pappa di latte e Musica per lui in Cremona. Mina è ispirata e ci regala un album degno della sua statura artistica. C'è addirittura una splendida gost track, Fever che, assieme a Ride Like the Wind dal primo ep per la wind e Rose in the Wind contenuta nel secondo ep per Wind (stranamente assente dalla discografia ufficiale, a differenza del primo...) fa immaginare un album di pezzi pop internazionali ritmati e audaci, che non sentiremo mai...

Ma come per intaccare questo bel disco nel novembre dello stesso anno esce un altro disco imbarazzante, dove Mina pur riprendendo pezzi già incisi 40 anni prima riesce a fare male, malissimo, peggio della peggiore principiante, L'allieva, dedicato a Frank Sinatra, è un album senile, inutile, svogliato, sulla falsariga diNapoli secondo estratto dove lentezza vorrebbe fare bellezza ma fa solo ...schifezza. Angel Eyes fa rimpiangere la versione anni 60 dopo appena 30 secondi, Dindi non sembra la stessa canzone, per tacer di Strangers in the Night che Mina sembra cantare mentre lavava i calzini di Quaini per quanto è svogliata, sembra quasi la parodia di Irina Scassalcazzaia... Un album talmente brutto che, quando uscì', iniziai davvero a dubitare di Mina, se mi piacesse ancora, se avesse ancora qualcosa da dire, se non fosse in realtà morta e il figlio stesse mettendo mano ai fondi di magazzino...




Nel 2006 è la volta di Bau altro album notevole, snobbato dalla critica ma apprezzato dai fan e premiato in classifica, uno dei rari dischi di Mina in cui c'è una coerenza musicale, un'idea di fondo, e dove Mina dimostra la sua classe di interprete regalandoci dei momenti da brivido (Fai la tua vita Datemi della musica, e altri).



Il 2007 è la volta del deludente Todavia un album sciatto e pavido nel quale Mina rifà, male, le canzoni che aveva già fatto in passato bene, album del quale ho avuto modo di parlare più volte...





L'anno scorso stessa storia del 2004, album che slitta all'anno successivo e secondo anno in 50 anni di carriera senza lp mentre la regola è almeno un disco di inediti (tra cover e canzoni nuove) all'anno (con punte di tre LP inediti...).


Poi a febbraio di quest'anno quell'azzardo di Sulla tua bocca lo dirò del quale, per quanto mi riguarda, la cosa migliore e tacere e andare avanti.

Un decennio desolato, privo quasi di vere sorprese, dove la colpa non è di Mina ma di chi le sta intorno, di chi sa consigliarla male, di chi ha fatto della sua musica una routine, come mangiare, dormire o andare di corpo...

Sarò un nostalgico ma che belli i vecchi tempi del doppio che usciva a ottobre, un disco di inediti e un'accozzaglia di cover, con brani vari, dai risultati altalenanti, ma quella era Mina, nel bene e nel male. Questa nuova mi dispiace dirlo faccio sempre più fatica a capirla a seguirla, ad apprezzarla.
E la cosa più grave è che, in fondo, va bene così...
bello essere
quello che si è anche se si è
poco
pochissimo
niente


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