10 luglio 2008

La sala cinematografica, un esercizio come un altro?

E' questa la domanda che si pone ieri Repubblica, nel riportare le difficoltà delle sale "in perdita" del circuito Cecchi Gori.

Le sale cinematografiche sono un patrimonio del territorio, della città e del paese.

1) Sono il modo precipuo e l'unico corretto di vedere un film: la proiezione in pellicola. Mentre anche la fiction, che nasce per essere vista su uno schermo domestico, viene portata in sala (proprio alla sala Adriano di Roma, del gruppo Cecchi Gori tra l'altro, in questi giorni è ospitato il secondo Fiction Fest che proietta su schermo i prodotti televisivi) il cinema viene sempre di più snaturato: portato in tv, sullo schermo di un pc, o, peggio, di una ps2 o di un cellulare.
Solo la sala cinematografica educa gli spettatori alla giusta fruizione (magari in lingua con sottotitoli, sta accadendo per la fiction e perché no per i film?).

2)la sala ha una funzione sociale. Si esce di casa, ci si muove, si incontrano altre persone, ci si educa a una visione collettiva, attenta e non distratta come quella casalinga (e individuale) su piccolo schermo.

3) Le sale cinematografiche assolvono un compito fondamentale quello di mantenere viva la memoria storica del cinema nazionale ed estero. In Italia questo non viene fatto a differenza in Francia o in Inghilterra. E' vergognoso che un paese che ha contribuito in maniera sensibile alla storia del cinema oggi non dia ai suoi cittadini la possibilità di vedere in pellicola i suoi capolavori dal neorealismo alla commedia all'italiana.
Il dvd è un surrogato inaccettabile.
I film vanno visti là dove e nel modo in cui sono stati creati per essere visti. In ogni caso il mercato di dvd italiano ignora il patrimonio culturale dei film italiani e quei pochi titoli che vengono distribuiti costano fino a tre volte il prezzo di un dvd commerciale anche mesi dopo la sua prima uscita.
A Parigi chiunque può assistere a proiezioni in pellicola dei classici del cinema mondiale, in Italia nemmeno dei film italiani.
Il governo e gli enti locali dovrebbero sensibilizzare i cittadini al massimo creando una rete di sale che permettano la visione di film non per scopo commerciale.

Che una sala che non crea profitti venga chiusa è segno della miopia degli italiani e delle istituzioni. Che poi delle sale chiuse venga cambiata la destinazione d'uso è un atto criminale da evitare a ogni costo.

Per salvare le sale e incentivare la visione non basta una politica tariffaria (che certo aiuterebbe, ma da sola non garantisce miracoli).
Bisogna fidelizzare il rapporto tra sala locale sul territorio e spettatore:

a) aumentare e variare il numero di titoli distribuiti;

b) garantire una visibilità dei film con orari certi (non è possibile che ogni sala abbia orari diversi per ogni titolo distribuito, la gente deve sapere che, per esempio, le proiezioni all'Ambassade sono sempre alle 15 17 19 21 e 23 (proprio l'Ambassade di Roma del circuito Cecchi Gori, ma non "in perdita", fa una politica selvaggia degli orari variandoli in base al giorno della settimana sullo stesso titolo, esperienza personale) annunciando sui giornali le eccezioni per i titoli di maggiore durata.

c)Un film deve rimanere in sala almeno una settimana. Basta alla politica miope ed egoista delle case di distribuzione (la vera mafia e il vero problema dell'esercizio italiano) che tengono i film in sala due giorni solo per aumentare il costo degli spazi spot al passaggio televisivo.
Se un film esce venerdì io spettatore devo essere certo che può vederlo almeno fino al giovedì successivo.

d) Avvicinare le pratiche da cineclub e cineforum anche nelle sale del territorio offrendo dei servizi culturali, tramite internet, o dei fogli informativi/critici sui film (anche scarni) cercando di sottolineare l'aspetto culturale del film e non solo quello commerciale. Favorire in ogni modo la programmazione culturale di sale di quartiere con contributi pubblici invece di chiudere.
Il consumo di film in sala è un evento culturale e non commerciale.


Che le istituzioni ignorino l'importanza del patrimonio cinematografico italiano è un sudicio culturale le cui conseguenze lo pagheranno le generazioni future, un suicido ingiustificabile e criminale.
Ma non è certo questo il governo che può dirsi sensibile a questo item.
Non che quello precedente abbia saputo fare qualcosa....

Fiction Fest Take Three

Giorno lungo oggi, iniziato alle 12.00 con due docu-story, due puntate del programma "Erotika Italiana" trasmesso ogni venerdì alle 22.30 su Cult, ideato e diretto da Alberto D'onofrio.
Il programma indaga con interviste e riprese "in diretta" la vita erotica di personaggi estremi.
In "Il kamasutra del disabile" si parla di Gabriele Viti un giovane assessore di Cortona, disabile dalla nascita (ipossia durante il parto), autore del volume “Il Kamasutra dei disabili” nel quale, tra le altre cose, dice: "Non esiste una sessualità dei disabili. Esiste la sessualità anche per i disabili".
Il programma ne indaga vita privata, attraverso interviste ad amici, alla madre a conoscenti e alla sua ex ragazza raccontandone la storia sotto il profilo sessuale.
Tra impossibilità a praticare autoerotismo (ma dai 14 ai 16 anni mi masturbava un amico. Ma non credo sia sia trattato di una fase omosessuale) alla fellatio che Gianni chiede alla escort di praticare "fino in fondo" ila docu-story racconta le difficoltà oggettive della sua vita sessuale senza che per questo la sua sessualità sia di serie b o qualcosa di diverso. In questo la scelta politica di Gianni raggiunge in pieno il suo scopo. Legittimare il bisogno di sessualità che hanno tutti, anche i disabili.
Il programma lo riprende mentre si concede uno show erotico in un locale e durante l'incontro con una escort da 400 euro.
Aspetto controverso e contraddittorio per un programma che vuole esplorare la sessualità degli italiani ma poi ritrae la prostituzione come una professione qualunque. Altrettanto discutibile la disinvoltura con cui la madre e una operatrice sociale parlano della prostituzione, meglio, del fatto che Gianni vada a puttane, senza batter ciglio mentre l'operatrice sociale critica l'esposizione sessuale di Gianni, una scelta invece rispettabile e squisitamente politica (non lo fa certo per narcisismo ma per essere d'esempio ad altri disabili...).
Ma il programma di D'onofrio è intelligente, non giudica, non è morboso è intellettualmente onesto, interessante nel suo volersi proporre come format che documenta abitudini e comportamenti (le parti in cui la telecamera è presente nella vita intima sessuale del protagonista) ma mai in maniera fictional cioè mostrando quel che solo una telecamera può riprendere facendo finta che la telecamera non ci sia, ma ricordando sempre che c'è un mezzo di registrazione che interferisce (e la escort non si spoglia finché la troupe none esce dalla stanza d'albergo).
Gianni è dolce, tenero, e ha una sua carica erotica. E' una persona che fa sesso come piace a lui e come può, non un disabile che raggiunge attraverso il sesso una presunta normalità.

Altrettanto interessante la seconda puntata Mistress all'italiana. Questa volta la telecamera riprende alcune sedute di Mistress Kelly: la prima nella quale un giovane elettricista amante delle torture genitali viene esaudito da una Kelly esperta e affidabile e poi quella di un bancario, legato a Kelly non non un cliente, ma da un rapporto privato: nei fine settimana lui le fa da schiavo (cucina, rifà i letti, le lecca le scarpe) in pantaloncini di caucciù e maschera che gli copre completamente la faccia. Entrambi gli intervistati ammettono di separare questa loro passione sadomaso dalle loro relazioni di coppia (tutte etero) e ammettono di non riuscire a parlare con nessuno di questa loro passione, né con le compagne, né con gli amici. Ne esce dunque una solitudine che è un aspetto interessante. Questi uomini non sono dei pervertiti né succubi di un vizio che non riescono a controllare ma delle persone con passioni precise che non trovato spazio nella società. Mistress Kelly ha quindi una funzione importante costituendo la loro valvola di sfogo, la realizzazione dei loro desideri (e dei suoi desideri di dominazione sul maschio). D'onofrio intervista, fa domande e racconta in un modo non moralista né scandalistico (alla Lucignolo per capirci). Solo quando si vede l'entourage di Mistress Kelly (un sedicente filosofo, un'altra giovanissima Mistress) si ha l'impressione che, nonostante l'intelligenza del perosnaggio, l'ambiente in cui si muove Mistress Kelly sia quello esibizionista borghese pseudo libertino degli scambisti e lo show in cui un non più giovane uomo viene penetrato con diversi dildo non serve più a documentare un fenomeno ma a dare scandalo autocompiaciuto (non già per il programma, quando proprio per i partecipanti allo show), non sincero, di chi non desidera seguire una propria fantasia ma vuole solamente apparire.


Un programma interessante che dimostra come, ancora oggi, la tv, quando ben diretta e prodotta, sa ancora parlare in maniera originale, non banale e, soprattutto, in maniera intellettualmente onesta.

Fortunate Sons (Usa, 2007) di Jonathan Nolan nonostante i premi vinti è un'operina flebile e inconsistente sui presunti complotti americani dell'11 settembre, argomento visto e rivisto, che non dice nulla di nuovo ma irrita e annoia soprattutto per un impianto visivo debole e povero da home-made video. Me ne sono scappato prima di addormentarmi profondamente (veramente un cedimento ce l'ho avuto...).



Una delle vere sorprese del Fiction Fest è Le Nouveau Monde (Francia, 2007) di Etienne Dhaene, in concorso, ma che vergognosamente non ha vinto alcun premio, tratto dal romanzo di Eliane Girard "Mais qui va garder le chat?".

Un film perfetto, da distribuire nelle sale, che con la forza dei suoi personaggi e della sua storia diventa un film esemplare senza essere didascalico, universale pur raccontando una storia precisa.
L'amore di due donne, Lucie e Marion, la voglia di maternità di una delle due, la ricerca di un padre-donatore di sperma, le rassicurazioni degli amici etero (che hanno adottato, ma per le coppie gay in Francia non si può) e di una copia gay, che ha usato l'inseminazione artificiale, in Belgio perché in Francia possono solo le coppie sposate... Lucie vuole che suo figlio sappia chi è il padre (e la sera, le figlia delle sue due amiche la rassicura dicendo che non le manca un pare e che per lei va bene avere due madri...).
La ricerca del donatore, poi trovato nell'ex di Marion, che prima dice di non volerne sapere di fare il padre, ma quando nasce Enzo si comporta come il più affettuoso dei papà e Marion si sente messa da parte.
Vita normale di persone normali, dove etero e gay vivono insieme, per amicizia e amore, e dove le famiglie fricchettone generano figli borghesi e ingessati (come il fratello di Lucie che si è vissuto male i campeggi nudisti da adolescente, a differenza di Lucie, come dire i maschietti sono inadeguati alle complessità della vita molto più delle ragazze...) mostrando ingiustizie e discriminazioni non di certe categorie ma di tutti.
Un film felice, una commedia col lieto fine, completo, ben girato, meglio recitato, stupendamente scritto che meriterebbe la distribuzione nelle sale ma che ha avuto il grande merito di essere andato in onda in tv, su Framce 2.

Hermanos y detectives (Spagna, 2007) (e non Hermanos & detectives, come riportato nel programma) è una serie giallo-rosa, per un pubblico di adolescenti, con una trama non troppo originale (e poco plausibile...) ma dei bei personaggi, ben interpretati, un telefilm ben girato con una leggerezza e una felicità di regia che noi italiani ci sogniamo.


Kiss of death (GB, 2007) di Paul Unwin presentato altisonantemente (si dice?) così: Viaggiando avanti e indietro nel tempo, si dispiega una storia di omicidio dalle mille sfaccettature, raccontata attraverso il punto di vista dei personaggi in essa coinvolti.
In realtà il punto di vista è sempre esterno, l'avanti e indietro nel tempo sono solo dei discreti flashback e la trama non brilla certo per originalità.
L'unica cosa davvero interessante è il proporsi del tv movie (e non serie tv come si legge su Wikipedia) come l'anti Csi, se lì lo spirito di squadra tiene tutti uniti, se la fiducia nella scienza e nella tecnologia non viene mai meno, qui invece nessuno è chi dice di essere, tutti hanno dei segreti, ognuno agisce per un proprio tornaconto personale, ha un segreto che lo rende debole, ricattabile, insomma molto più vicino al mondo reale che a quello fictional. In entrambi i casi però gli anatomo-patologi rovesciano succhi gastrici altrui senza vomitare, compiono autopsie senza mascherine (altrimenti non si vede il volto...) in barba al realismo che dovrebbe essere comunque uno dei loro punti di forza.
Inutile e noioso.
HARD

Hard (Francia, 2008) di Cathy Verney è una miniserie in due puntate di 75 minuti l'una, che racconta le vicissitudini di Sophie, classica casalinga che scopre, dopo esser rimasta vedova, che l'impresa su internet gestita dal marito non riguardava le spedizioni ma il porno. Sulla casa pende un'ipoteca e Sophie è costretta suo malgrado a gestire la società. Grande idea tirata un po' per le lunghe che indugia troppo sul basimento (si dice?) di Sophie e troppo poco sui personaggi secondari (una suocera lesbica, l'attore porno principale che si innamora di lei, il figlio sempre attaccato alle cuffie e forse homo, la figlia ninfomane per tacer degli altri attori del sito...). Insomma tante belle promesse poco mantenute e un impianto narrativo al quale avrebbe giovato una maggiore stringatezza (si poteva portare tranquillamente la miniserie ai 90 minuti di un tv movie) e dal finale improvviso e inaspettato. Nel cast Françoise Vincentelli lo stesso viso bello visto in Clara Sheller.
bello essere
quello che si è anche se si è
poco
pochissimo
niente


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