3 gennaio 2008

IVG

Sono da poco passate le due del pomeriggio. È una mesta giornata di settembre, fuori fa caldo e c’è in giro un silenzio innaturale. Mi trovo all’ospedale san Camillo. Sto andando a trovare mia sorella che si è sottoposta a una interruzione volontaria della gravidanza.
Mal sopportando l’umiliazione che in ogni ospedale infliggono alle donne (sale dove 3-4 donne vengono raschiate contemporaneamente, in “anestesia locale” mentre i medici parlano tra di loro che so, di sport, pasta amatriciana mangiata la sera prima, la gita in barca da organizzare per il week-end), mia sorella ha richiesto l’anestesia totale. Per questo la trattengono qualche ora in più, come forma precauzionale. Sono in un’ala secluded dell’ospedale, c’è profumo di pulito e non di disinfettante. Nella stanza dove mi indicano trovo mia sorella, che si è appena svegliata dall’anestesia. Una seconda ragazza, sui venticinque anni, sta già mangiando qualcosa, mentre una terza, sula trentina, dorme ancora.
L’odore di cibo mi rammenta la mensa alle elementari, dalle suore, quando, subito dopo pranzo, invece della pennichella postprandiale ti portavano nella cappella, a pregare, e il silenzio conciliava il sonno…
C’è un senso di mestizia e qualcosa di sacrale nell’aria. Nessuna è felice di aver subito quell’intervento, e non solo per la violenza subita dal corpo, ma per quella inferta allo spirito, anche se necessaria o inevitabile.
Non c’è aria di routine né di indifferenza.
La ragazza che dormiva si sveglia e piange.
Intanto mia sorella mi dice di aver già vomitato due volte e di non riuscire a trattenere nemmeno i liquidi.
Di infermiere e dottori nemmeno l’ombra.
Poi, all’improvviso, irrompe brusco un dottore, canuto, nervoso, svelto. Sembra la signora Luisa della pubblicità. Mima una vista alle tre donne e non posso non notare il fremito di distacco e di disappunto che lo percorre tutto.
“Come va?", chiede.
“State bene” dice, come per convincere più se stesso che le tre donne presenti e conclude dicendo: “Potete andare se credete”.
Poi, mentre il dottore è già sulla porta, pronto a sparire così com’è comparso all’improvviso, una vecchina, sgattaiola dentro la stanza. Minuta, magrissima e maligna, si dirige già verso i letti delle due ragazze, forse perché accanto a quello di mia sorella ci sono io… e prima che ce se ne renda conto distribuisce a tutte, sorema compresa, un giornalino di quelli dei Testimoni di Geova, che mostra in copertina la foto di un embrione, ancora non troppo sviluppato, ma del quale si distinguono benissimo manine e piedini…

Io per primo ho un mancamento, mentre vedo una delle altre due ragazze boccheggiare mentre mia sorella chiude gli occhi e allontana da sé il giornalino proditoriamente appoggiatole sul fianco del letto.
Caccio la vecchina in malo modo fuori dalla stanza, se non urlo è solo per non disturbare le ragazze. Vorrei chiamare il primario, la polizia, denunciare le infermiere. Com’è possibile che sia stato consentito ad un’estranea di entrare nella stanza? Ma poi giunge il marito della ragazza 25enne, che si vergogna un po’ di stare lì insieme a delle estranee e ai loro relatives che furtivo, raccoglie gli effetti personali della moglie e vuole portarla via di fretta. Lei si spazientisce, gli sussurra “fa piano, mi fa male!” portandosi una mano sul ventre. Ma c’è dolcezza nella sua voce non irritazione.
E mentre l’uomo si chiede cos’abbia la moglie, io getto nel cestino la nostra copia de “La Torre” e sussurro mesto a mia sorella:”andiamo via”.
Non è la prima volta che accompagno una donna ad abortire.
Mi ricordo, ero ancora al liceo, di quando accompagnai Arianna, una mia compagna di classe. La madre lavorava come infermiera proprio nel reparto dove lei doveva subire l’intervento, era bello che Arianna non dovesse nascondere l’intervento ai suoi, ma l’assenza del ragazzo, il clima della sala d’attesa, le implicazioni di quanto la mia compagna di classe stava per fare non permettevano certo di rallegrarsi.
Né mia sorella né Arianna si sono avvalse dell’’interruzione volontaria della gravidanza" per motivi medici ma, semplicemente, perché la gravidanza era indesiderata e impossibile da portare avanti. Entrambe conoscevano e usavano i mezzi contraccettivi eppure, lo stesso, erano rimaste incinte. Nel caso di mia sorella il padre del bambino era presente (ci conoscemmo in quel frangente e io lo interruppi subito quando lui balbettò qualche parola per chiedermi scusa… come se mia sorella Silvia fosse una mia proprietà che lui aveva violato…). Invece Arianna era sola in ospedale, senza quell’uomo che l’aveva messa incinta.


Di tutti gli argomenti a favore o contro l’aborto ce n’è uno che interrompe la discussione prima ancora di iniziarla. Gli antiabortisti continuano a non abortire anche con la legge 194, ma in uno stato libero e democratico, chi vuole, può farlo, secondo determinati criteri (e anche la legge non riconosce l’aborto come forma contraccettiva). Chi vuole abortire lo fa per sé e solo per sé e non costringe nessuno a farlo.
Viceversa, chi vuole modificare, o abrogare la legge 194, chi vuole vietare l’aborto, quale che sia la sua ragione (comunque soggettiva e non unica) impone il suo punto di vista a tutti.
Chi crede di avere la Verità in tasca e vuole imporla agli altri è doppiamente ipocrita. È ipocrita perché se la sua verità fosse così universale non ci sarebbe bisogno di imporla, ed è ipocrita perché mentre la impone, proprio perché la impone dimostra di sapere che ci sono altre opzioni, altre weltanschaung, né migliori né peggiori della sua, solo “altre.”
Immaginatevi cosa sarebbe potuto succedere se in Italia non si potesse abortire, se qualcun altro potesse decidere della vita di una donna. Già, perché è l’utero della donna che viene raschiato mentre l'uomo, al massimo, viene richiesto solamente di prendersi le proprie responsabilità e, se la donna vuole, assisterla prima e dopo l’intervento.
E' troppo comodo parlare di qualcosa che mai in nessun modo potrà capitare non dico a te, ma nemmeno agli altri come te, che hanno il tuo stesso corpo. Per questo credo che nessun uomo abbia voce in capitolo su un argomento che non lo riguarda in prima persona.
Perché io, personalmente, posso anche essere contrario all’aborto. Ma chi sono io per imporre i mie valori etici agli altri?
Per questo non sopporto che degli uomini, dei maschi, vogliano togliere alle donne un diritto ormai maturato nel tempo, acquisito, non sopporto che dei maschi ipocriti deprechino l’uso dell’aborto come anticoncezionale ma sono poi contrari anche a ogni forma di profilassi e magari si inventano l’obiezione di coscienza per non vendere preservativi nelle proprie farmacie, e sì che oggi il preservativo non evita solo dalle gravidanze indesiderate, ma salva la vita come ben anno i due milioni di africani che muoiono ogni anno di aids.
Per questo inorridisco quando sento certe cariatidi di entrambi i sessi che, schierandosi contro l'aborto (altrui), credono di essere gli unici depositari di valori sacri quali "la difesa per la vita"ma poi non battono ciglio quando condannano a morte milioni di persone vietando l’uso di profilattici, o quando decidono della vita altrui di donne che, fosse per loro, dovrebbero tenersi i figli sempre e ad ogni costo, arrivando a snaturare la procreazione assista obbligando la donna che se ne avvale ad essere impiantata dell’ovulo fecondato in vitro senza alcuna analisi pre- impianto (data la fecondazione extrauterina ci sono alte probabilità che l’ebrione abbia qualche anomalia) casomai, dice la legge, le donne in questione possono ricorrere DOPO all’aborto, se l’embrione dovesse risultare affetto da qualche patologia.

Non sono errori, non sono contraddizioni, non è nemmeno pazzia.
È fascismo, è nazismo di chi, odiando le donne (e molte odiano il loro stesso genere, come Paola Binetti che offende il proprio corpo femminile con un cilicio), cerca di umiliarle, di controllarle, di sottometterle (vuoi avere un figlio ad ogni costo? Io ti ficco in panza l’ovulo anche se è malato, tie’!)

Per questo credo che dobbiamo tutte e tutti scendere in piazza contro queste derive maschiliste, fasciste, naziste, misoneiste e misogine e non ignorarle.

Ruini, Bondi e chi per loro sono degli oscurantisti e una democrazia che sia davvero tale non può permettergli di aprir bocca e gittar fori fiato in nome di un generico diritto di opinione. Non tutte le opinioni hanno diritto di cittadinanza in seno una democrazia. Meno che mai quelle che attentano a degli inviolabili diritti acquisiti.




dominot


Dominot ne La dolce vita di Fellini

Sono tornato a vedere lo spettacolo che Dominot fa al suo locale, il Baronato alle Quattro Bellezze.

Lo avevo visto già l'estate del 2006 con il mio amico Antonio.

Questa volta ci sono tornato con Silvia, Lillo e Silvio (perdonami Anto, ti ho tradito, ma tu non eri a Roma, credo...) e lo spettacolo mi ha colpito con la stessa intensità dell'altra volta.

Intanto la genialità di uno show che Dominot allestisce sul bancone (piccolo!!!) del suo locale.

E' la sua minuta figura a rendere possibile la trasformazione del bancone in palcoscenico (io non entrerei...).

E quando Dominot è lì tutto solo sul bancone, che si cambia, amorevolmente assistito, gli abiti che crea lui même, e canta le canzoni di una volta, oppure va in playback su registrazioni storiche, un mondo, unico, senza tempo ma attuale, erompe dal bancone, pardon, dal palco, e ti investe con tutta la sua forza emotiva.

L'altra estate era stato il brano di Zizi Jeanmaire Mon truc en plume ad avermi emozionato,



stavolta mi ha colpito invece da Nathalie, un brano di Gilbert Becaud.



Silvia e Silvio son rimasti a bocca aperta.


Io e Paolo (che è un habitué del posto e mentre attendevamo che Dominot cominciasse ha salutato mezzo locale) ci siamo lasciati andare anche al ricordo personale di quando conoscemmo questo locale grazie all'amico comune Luca Ragazzi (che saluto, nella remota eventualità che mi legga...).

Silvio infine non è rimasto con le mani in mano e ha scattato le foto che adornano questo post...



Andate invece al blog di Paolo per altri video su Dominot (cliccate qui)
bello essere
quello che si è anche se si è
poco
pochissimo
niente


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